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22/08/2017 | di Redazione Ruoteclassiche
Infiniti Prototype 9: ritorno al passato
I bolidi del tempo che fu sono sempre più importanti per costruire un marchio forte e riconoscibile. Il brand di lusso dell’alleanza Renault Nissan ha reinterpretato una monoposto da Grand Prix che rimanda agli Anni 40
22/08/2017 | di Redazione Ruoteclassiche

I bolidi del tempo che fu sono sempre più importanti per costruire un marchio forte e riconoscibile. Il brand di lusso dell’alleanza Renault Nissan ha reinterpretato una monoposto da Grand Prix che rimanda agli Anni 40

Non esce da archivi anteguerra e neppure da sbiadite foto in bianco e nero eppure è reale: una Infiniti da corsa, a ruote scoperte, proprio come se fosse stata pensata e prodotta dal marchio di lusso Nissan a cavallo della seconda guerra mondiale. Un bolide che richiama in tutto e per tutto i tempi eroici della Mille Miglia e che sembra ispirata alle memorie futuriste di Marinetti. Peccato che il marchio sia nato molto dopo, sul finire degli Anni ’80 (insieme agli altri “premium” come Lexus di Toyota e Acura di Honda) per sfidare sul mercato degli Stati Uniti le (al tempo) irraggiungibili ammiraglie tedesche. E peccato che l’auto sia stata presentata nel 2017... a Pebble Beach.

Dove non può arrivare la tradizione storica arriva invece una abile intuizione di marketing trasformata in progetto completo con fior di ingegneri del marchio che hanno collaborato internamente per creare un bolide Infiniti davvero coerente con il passato, a partire dalla griglia anteriore. Qualcuno potrebbe vedere un forte richiamo alle “Frecce d’argento” Mercedes o Auto Union, riferimento peraltro abbondantemente utilizzato da Audi come richiamo storico. Il comunicato stampa ufficiale di Infiniti parla invece di ispirazione alle auto da corsa Anni ‘40 e alle Prince (marchio del gruppo Nissan) da corsa degli Anni ‘60.

Le immagini e i video diffusi dalla Casa però parlano da soli, gli stilemi dei tempi eroici ci sono proprio tutti: forma a sigaro allungato, ruote strette scoperte con pneumatici che oggi fanno tenerezza, calandra del tempo che fu con la carrozzeria messa insieme dai battilastra e fior di cromature. E poi niente cerchi in lega: al loro posto ruote a raggi da 19 pollici con bloccaggio centrale e freni a tamburo, tali solo nell’estetica in realtà, perché nascondono modernissimi freni a disco.

Se l’ispirazione e il disegno riprendono senza compromessi le linee guida del passato, sottopelle la prima Infiniti da Grand Prix storico nasconde un cuore tecnologico coerente con le auto del gruppo Renault Nissan (vedi la elettrica Leaf) o l’impegno nelle competizioni affiancato al marchio francese: niente motore a scoppio ma power unit elettrica. Gli smanettoni informatici più attenti non potranno non notare nell’abitacolo una presa da “rete IT” che, presumibilmente, serve per collegare il bolide ad un computer.

Insomma: vestito storico, tecnologia contemporanea e futuribile per un marchio che da oltre vent’anni prova, in molti casi con successo, a fare concorrenza sul mercato premium ai soliti noti. E allora viene spontaneo chiedersi: come mai questa scelta azzardata? A cosa serve davvero realizzare un prototipo del genere? Lasciando da parte posizioni integraliste, ci sono buone notizie per gli appassionati di auto storiche e valide ragioni per ingegneri e manager Infiniti, evidentemente tutt’altro che sprovveduti.

Un’auto del genere dimostra da una parte le attuali capacità tecnologiche del Gruppo, arrivando a occupare le pagine cartacee e virtuali delle testate specializzate, ma non solo: strizza l’occhio agli appassionati di auto storiche e collezionisti che presumibilmente oltre alle auto d’epoca poi devono anche acquistare auto moderne per muoversi tutti i giorni.

E poi rifarsi all’epoca pioneristica dei bolidi sportivi se da una parte può sembrare strano per un marchio relativamente giovane, diventa in realtà un apprezzamento per le auto storiche che rappresentano ormai un riferimento non solo tecnico e generazionale ma anche culturale. Ecco perché oggi i valori delle auto classiche e delle icone del passato sono in crescita e il mondo delle auto d’epoca fatto di rievocazioni, mostre ed aste attira non più solo una ristretta cerchia di appassionati ma anche mondi più vicini alla finanza, con dinamiche sempre più simili a quelle del mondo dell’arte.

Così chi la storia l’ha in casa come Mercedes, Ferrari, Porsche o Peugeot, giusto per citare alcuni esempi in ordine sparso, ci lavora giustamente utilizzandola come fascinoso “ombrello” per tutte le proprie auto, comprese quelle moderne. Chi invece, come Infiniti, quel passato non ce l’ha gioca a “ricrearlo”, con la giusta dose di realpolitik e ironia: non solo forme del passato ma anche contenuti tecnologici da grande protagonista del mondo auto. Come dire, guardate che tra un po’ di anni anche noi avremo una storia pari ai grandi marchi del passato. Ecco perché la Infiniti Prototype 9 è una felice intuizione di marketing quasi da manuale di comunicazione.

E per chi vuole rimanere più fedele ai contenuti tecnici non mancano alcune curiosità: la costruzione della carrozzeria ha unito sofisticati software 3D al lavoro manuale dei battilastra; il propulsore elettrico viene dalla Leaf ma non le batterie che invece provengono da altri modelli Infiniti per questioni di spazio; i cavalli sono 163; la coppia di 320 Nm e il peso sotto la tonnellata consente lo zero-cento in 5,5 secondi con una punta di velocità massima pari a 170 km/h.

Non manca la trazione posteriore con il ponte de Dion, grande totem per alfisti e non solo. L’autonomia non va oltre i venti minuti di utilizzo, quanto basterà in futuro per fare passerella a qualche concorso d’eleganza. I volanti sono due e intercambiabili: uno tradizionale in legno e uno più moderno con la strumentazione al centro.

Difficile prevederlo adesso ma, forse, nel 2060 qualche casa d’aste evidenzierà la Infiniti Prototype 9 come pezzo unico ideale per collezionisti del marchio che la potranno affiancare ad uno dei primi modelli del SUV FX o ad una monoposto Renault che aveva corso nei primi anni del secolo.

Luca Pezzoni

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