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19/03/2018 | di Redazione Ruoteclassiche
La Ritmo di papà
Oltre alle “avventure” a lungo raggio, per me la Ritmo 65 rappresentò anche un’altra cosa: fu la prima auto che guidai, diversi anni dopo i fatti narrati, senza elettronica di sorta e con tanta attenzione a non esagerare. Nel bene o nel male, qualcosa che non si dimentica.
19/03/2018 | di Redazione Ruoteclassiche

Quando ripenso alla Fiat Ritmo 65 CL prima serie, il primo ricordo non è dei più felici. Mi spiego meglio: non è una questione legata alla valutazione tecnica o stilistica del modello, quanto a un fatto personale, di famiglia. Purtroppo, infatti, la Ritmo, che ha segnato la svolta in casa Fiat nel campo delle due volumi compatte, entrò in casa nostra nell’estate 1978, dopo la delusione patita per il furto, avvenuto il primo aprile (sic...), della seminuova Fiat 132 1600. Così, tra l’inflazione galoppante a due cifre dell’epoca, che faceva lievitare i listini quasi ogni mese, e l’arrabbiatura di mio padre, accettammo di “scendere” di un paio di gradini, per quanto riguardava taglia e immagine, optando, appunto, per la Ritmo.

All’epoca papà dirigeva la concessionaria Iveco-OM di Padova, quindi i rapporti con la concessionaria Fiat erano più che buoni. Tanto che, per necessità, la Ritmo 65 CL (Confort Lusso) 5 porte ci fu consegnata addirittura a fine luglio, appena un mese dopo l’entrata a listino su Quattroruote e il lancio commerciale. E ciò fu possibile grazie al fatto che si trattava di un esemplare dimostrativo della concessionaria Marin, con pochissimi chilometri e una buona dotazione di accessori. La sera stessa in cui la Ritmo sbarcò a casa, il papà mi portò a fare un giretto, sapeva che l’attendevo e che ci tenevo a "battezzare" ogni nuova auto.

Il colore, lo vedete nella foto dell’estate 1978 in cui ci sono con mio padre, era l’azzurro metallizzato (codice 400), un optional presente sulla vettura, insieme alla quinta marcia, agli pneumatici “maggiorati” 165/70 SR 13, al contagiri con orologio digitale, ai cristalli atermici, al lunotto termico e al tergilunotto. Mancavano, invece, gli appoggiatesta. La targa era "PD 505953", e mi è rimasta impressa, perché alla stessa è legato un aneddoto da film. All’epoca abitavamo a Treviso, ma la targa Padova era tenuta sotto "doppio controllo segreto" dalle forze dell’ordine, per i noti fatti legati al brigatismo veneto. Ebbene, una sera, rientrando a casa tutti insieme sulla nuova "arrivata", siamo stati inseguiti da un’Alfetta della Polizia, che ci sbarrò la strada ringhiante. Era tutto vero, potete immaginare lo spavento. Il capofamiglia scese dalla Ritmo e chiese spiegazioni, tra l’irritato e l’impaurito per noi. E il poliziotto, dopo aver capito la situazione, replicò con un «Non si inc… per favore» e con: «Abbiamo dovuto fermare un’auto nuova targata Padova». Una sigla che, all’epoca, creava allarme.

Quanto al divario qualitativo con la 132, beh, era evidente e bisognava accettarlo. Il progetto della Ritmo diceva qualcosa di innovativo all’esterno e all’interno, anche se la base meccanica derivava in gran parte dalla collaudata 128, le cui finiture parevano però più robuste. E l’originalità della Ritmo, con quel design di rottura, finì con l’attirare in quella prima estate molti curiosi quando sostavamo anche solo per pochi minuti. Come accadde a Grosseto: in un amen, fummo circondati da uno stuolo di appassionati che la Ritmo l’avevano vista solo in foto, magari sulle tante pagine che Quattroruote le dedicò nella prima parte di quel 1978.

Nonostante l’arrivo “forzato”, la Ritmo si ricavò poi uno spazio importante in famiglia. Era l’auto dei viaggi lunghi, d’estate, rigorosamente in notturna e senza condizionatore. Devo dire che fece onestamente il suo mestiere, rivelandosi abbastanza spaziosa e non così affaticante nelle percorrenze extra. Nel 1979, proprio durante una di queste maratone in direzione Sicilia, mio padre si scordò di essere al volante solo di una “1.300” da 65 CV e, per non farsi distanziare troppo dall’amico milanese a bordo di una ben più prestante 132 "1800" GLS, chiese troppo al quattro cilindri a pieno carico e bruciò la guarnizione della testata all’altezza della Campania. Al caldo di “serie”, quindi, si unì pure quello, “optional”, nel vano motore. Continuammo la marcia aggiungendo liquido refrigerante fino a Messina, dove la concessionaria locale confermò la diagnosi: il lavoro venne eseguito a regola d’arte e la vacanza fu salvata (lo potete vedere anche dalla foto sul traghetto).ritmo1

Oltre alle “avventure” a lungo raggio, per me la Ritmo 65 rappresentò anche un’altra cosa: fu la prima auto che guidai, diversi anni dopo i fatti narrati, senza elettronica di sorta e con tanta attenzione a non esagerare. Nel bene o nel male, qualcosa che non si dimentica.

Andrea Stassano

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