L’opera, disponibile nel catalogo di Asi Service, racconta in una chiave inedita l’avventura professionale e privata del car designer americano Tom Tjaarda all’ombra della Mole.
La storia di Tom Tjaarda non è solo quella delle sue, pur bellissime, automobili. Appartiene al genere delle avventure dei ragazzi coraggiosi. Quelli che con peripezie e talento sono capaci di arrivare dove vogliono. Attraversano gli oceani, si buttano a capofitto, colgono al volo le occasioni della vita. E riescono a fare i conti anche con i pensieri profondi. Di questi giovani la letteratura è piena, alcuni sono diventati protagonisti di fantastici romanzi. Per questo abbiamo dedicato a Tjaarda “L’Americano”, non una monografia celebrativa ma una biografia romanzata. Che non scontenterà gli appassionati della storia per immagini (contiene più di 200 fotografie), ma prova – non senza un pizzico di rischio – ad aprire un genere nuovo nella letteratura delle quattro ruote.
Due libri in uno. Metà del volume, forte dello straordinario intreccio della vita del giovane Tjaarda, è da leggere come un racconto, da tenere – verrebbe da dire – sul comodino. L’altra metà si può invece appoggiare sul “coffee-table”, perché arreda ed è interessantissima da sfogliare, con la sua selezione di immagini d’alta epoca. Parecchie inedite o dimenticate. L’insieme dei capitoli, quelli narrativi e quelli fotografici, attraversa metà del XX Secolo. Mentre Tom incrocia compagni di viaggio eccezionali: da Luigi Segre a Battista e Sergio Pininfarina, da Renzo Carli a Franco Martinengo, a Giorgetto Giugiaro e, naturalmente, Alejandro De Tomaso. Automobili, uomini e tutta un’epoca ormai scomparsa, ma che tornano molto vivi nelle 311 pagine del volume.
La trama. Un giovanotto di aspetto semplice era partito dalle pianure del Michigan per iniziare il suo lavoro a Torino. Pensava di trattenersi almeno un semestre. Così, citando uno straordinario romanzo del ‘900 che ha come protagonista un altro neolaureato, inizia la storia di Tom Tjaarda. Una “storia”, appunto, professionale ma anche molto umana, che ha bisogno degli strumenti e dei tempi giusti per essere assaporata. Dopo la partenza “di provincia” (Tjaarda viveva nei sobborghi di Detroit) e il viaggio in nave (dove l’incontro con un altro giovane e una Lincoln Zephyr nella stiva iniziano a svelare qualcosa di lui), il giovane Tom sbarca a Torino. La Ghia all’apice del suo fulgore sarà la prima scuola, la prima automobile, l’esercizio e la ricerca spinti agli eccessi. Poi il passaggio da Pininfarina (il suo “monologo” di lavoro è un’altra pagina godibile), l’apprendistato a Italia ’61, le vetture da sogno, dalla Corvette Rondine alle Ferrari. E ancora la smania di arrivare, ma anche le incertezze, un ritorno lampo in America, il rimbalzo alla OSI, alla neonata Italdesign, infine con De Tomaso alla nuova Ghia.
L’epopea della Pantera. Gli otto anni trascorsi alla Ghia sono stati il periodo più prolifico e sorprendente di Tjaarda. Progettista ormai esperto (anche se l’aria allampanata e un po’ umile lo accompagneranno per tutta la vita), il chief-designer mette a punto una serie impressionante di vetture. Tutte innovative, alcune memorabili, in cui fondere le basi della proporzione e dell’eleganza (acquisite a Grugliasco) con la necessità di osare e fare breccia tipiche di De Tomaso, nelle sue innumerevoli imprese. L’avventura che precede la nascita della Pantera (che molti considerano il suo capolavoro e che divenne un mito in America) e arriva alla cessione della Ghia alla Ford, è un racconto intenso, che unisce dramma umano e spy story alla aneddotica più divertente. E proprio la scelta di Tjaarda di non seguire il vulcanico imprenditore nel ventennio successivo (alle varie Guzzi, Benelli, Innocenti, Maserati), ma di tentare la carta “americana” alla Ghia è il giro di boa che permette di comprendere la vicenda umana e professionale del protagonista e trarne una morale.
Automobili e pensieri profondi. Il terzo ingrediente de “L’Americano”, distribuito con misura, ma forse il più intenso, è il rapporto di Tom con un padre geniale ma assente. Un modello perfetto sulla carta (John Tjaarda fu un progettista di altissimo livello), ma quasi mai accessibile. O solo grazie ai pensieri profondi di una vita ormai trascorsa. Anche qui, insieme al coraggio di buttarsi, di attraversare il mare, di saper navigare in un mondo anche sconosciuto, Tom Tjaarda ha qualcosa da dire. Ai giovani, forse più che a chi ha già imparato. A quelli che di automobili ne sanno anche poco, ma sentono istintivamente il loro fascino. A quelli che stanno iniziando a muoversi e cercano un esempio al quale ispirarsi.