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Auto storiche in Italia, un giro d’affari da oltre due miliardi l’anno

Solo nel Bel Paese, le auto d’epoca generano attività di acquisto, mantenimento e turismo per 2,2 miliardi di euro all’anno. Ecco i dati presentati oggi in un convegno organizzato dall’Asi a Roma, nella sede del Senato della Repubblica di Palazzo Koch.

“Non abbiamo petrolio e miniere, ma possiamo primeggiare nel mondo con la fantasia”: con le parole di Enzo Ferrari il Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha aperto oggi nella Sala Koch di Palazzo Madama il convegno sul motorismo storico italiano: “Un settore”, lo ha definito, “ancorato nel passato, ma che continua a ispirare le forme del domani”. “Le nostre auto e le moto d’epoca – ha proseguito la Casellati – non sono semplicemente mezzi di trasporto, ma espressione di libertà, velocità, dinamismo, creatività. Evocano epoche e momenti storici, ma anche i paesaggi, i colori, gli odori e perfino i sapori del made in Italy più autentico. Hanno in sé una componente artistica ed estetica che tutto il mondo ci invidia. Basti pensare al successo internazionale riscosso dai nostri grandi designer – Pininfarina tra tutti – e dalle loro auto, valutate all’estero come vere e proprie opere d’arte al pari di un Picasso o di un De Chirico, definite “sculture in movimento” e degne di essere esposte al Moma di New York, come nel caso della Cisitalia 202, ma anche della 500 F, altra icona del prodotto Italia». Per il presidente del Senato, dunque, «Le quattro e le due ruote incarnano la bellezza, ma anche la cultura. Penso – ha poi aggiunto – alle opere di Pavese, Luzi, Montale, ai dipinti di Boccioni, al connubio che le automobili e le moto italiane hanno avuto con il cinema, la musica, la cultura di massa del ‘900. Film come il “Sorpasso” o “Vacanze Romane” fanno ormai parte della memoria collettiva non solo italiana. È del tutto evidente quindi che il patrimonio culturale e artistico del motorismo storico italiano non ha pari al mondo. E anche per questo deve essere salvaguardato, tutelato, divulgato e sviluppato».

Non solo un patrimonio culturale… Un giro d’affari, dunque, di oltre due miliardi di euro all’anno, generato dalle auto storiche lungo una filiera che parte dall’acquisto, passa per la manutenzione e si articola anche nel turismo diretto e indiretto generato da eventi, gare e raduni che coinvolgono, con un impatto sociale e culturale non trascurabile, una fetta di pubblico che va oltre proprietari e collezionisti.

L’impatto economico e sociale del motorismo storico. Tanto per rendere l’idea, solo l’Asi (Automotoclub Storico Italiano) conta 202.000 iscritti. Questo non è che uno dei numerosi dati estratti dallo studio che il sodalizio di Villa Rey ha presentato oggi a Roma nel corso del convegno “Il futuro del motorismo storico”. Si tratta, in sostanza, di analizzare i dati di un’indagine condotta dall’Istituto Piepoli e incentrata sul “Valore sociale ed economico del motorismo in Italia”.

Un motore per la crescita del Bel Paese. Prima di addentrarci nei particolari dello studio, possiamo già sottolineare come i numeri diffusi da Nicola Piepoli, significativi sia per distribuzione territoriale sia per valori assoluti, forniscano uno spunto per riflettere sull’importanza di tutto il comparto storiche anche in un’ottica di sviluppo della vita lavorativa, sociale e culturale del Paese.

Interventi illustri. Non a caso, nel corso del convegno, a corollario dei dati si sono alternati interventi autorevoli, come quelli di Roberto Giolito, numero uno di FCA Heritage (“Il valore culturale del motorismo storico”), quello di Paolo Pininfarina (“Il veicolo storico è un’opera d’arte”) e, per finire, quello di Antonio Ghini (“The Classic Car Trust”). Tornando a numeri e metodologia alla base dello studio commissionato dall’Asi, gli esperti dell’Istituto hanno elaborato i dati basandosi su oltre 600 interviste e centinaia di confronti con esperti e operatori del settore. Durante i lavori, inoltre, è intervenuto anche il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria.


Un parco auto storiche da non sottovalutare. Per rispondere alla domanda di fondo, ovvero quanto vale il motorismo storico italiano, il primo passo è stato definire il perimetro di riferimento, ovvero il numero dei veicoli con venti o più anni di età. Tra il numero di veicoli storici indicato da Aci, circa 800.000, e quello dell’Asi, più o meno 375.000, è stato scelto il secondo dato, più cauto e “conservativo”. Non si tratta di un fattore secondario nel computo finale, perché ha un impatto diretto sui numeri. Ne parleremo più avanti, confrontando i risultati con quelli relativi all’Inghilterra.

Storiche. Quanto ci costano? Tornando alla metodologia di base e partendo dai numeri in gioco, il primo dato di grande rilievo è rappresentato dai costi legati al mantenimento dei veicoli, che ammontano a 650 milioni di euro all’anno. Circa 2000 euro a veicolo, importo che unito ad acquisto progressivo dei veicoli stessi, restauri conservativi e rifornimenti di carburante, incidono per oltre la metà di un giro d’affari complessivo da quasi 2,2 miliardi di euro.

Turismo diretto e indiretto. Per arrivare a questo totale ci sono da considerare anche i numeri che derivano dal turismo diretto (spostamenti e viaggi dei proprietari a bordo dei veicoli in occasione di tour privati o eventi) e da quello indiretto (appassionati che visitano fiere, mostre e manifestazioni, comprese le gare come la rievocazione storica della Mille Miglia, fino ai pasti e ai pernottamenti legati alle suddette attività).

Un business con cifre da capogiro. Spiegare il metodo statistico seguito dall’Istituto Piepoli per la determinazione dei parametri, così come l’applicazione dei moltiplicatori per arrivare al computo finale, non è il nostro mestiere, ma possiamo cominciare col concentrarci sulla serie di ipotesi cautelative fatte volte a supportare i dati e renderli credibili. Così prudenziali da indurci a supporre che, in realtà, il giro d’affari legato alle auto storiche potrebbe essere anche superiore. Possiamo affermarlo sulla base dell’incrocio con altri dati. Per esempio in Inghilterra, secondo alcuni studi universitari, solo la London-Brighton genera un milione di sterline di valore per territorio e attività economiche annesse. Ancora, da uno studio della Federation of British Historic Vehicle Clubs risalente a qualche anno fa, si evince che il giro d’affari ammonta ad almeno 5 milioni di sterline, dando lavoro diretto a oltre 35.000 persone.

I numeri non mentono. Sarebbe interessante estrapolare questo dato anche per il nostro Paese, considerando nel computo finale non solo gare e turismo, ma anche tutto l’indotto che comprende, per esempio, musei e collezioni private. L’Inghilterra è un riferimento ancora lontano – stiamo parlando di una nazione in cui l’ordine di grandezza del business delle storiche è circa doppio rispetto all’Italia -, ma attenzione: il nostro Paese vanta una cultura motoristica invidiabile. Il giro d’affari legato alle auto storiche non è da sottovalutare neanche in Italia, e i numeri diffusi oggi sono quantomai significativi del peso specifico rivestito dal movimento collezionistico. Ecco allora aprirsi lo spazio per la riflessione legata agli incentivi legati alla passione del collezionismo.

 

La situazione in Italia. È evidente che agevolare il movimento collezionistico può solo dare benefici all’indotto collegato: officine specializzate, alberghi, ristoranti e attività commerciali in genere, fiere, musei, ecc. A conferma di ciò, i dati dell’istituto Piepoli comprendono anche un’interessante classifica sulla distribuzione dei ricavi legati alle auto storiche su base regionale: se fosse la classifica di un campionato di calcio, in “zona Champions League” troveremmo regioni popolose e con grande numero di veicoli (Lombardia, Lazio, Veneto), altre con rinomati poli di tradizione motoristica (Emilia Romagna) o, ancora, regioni a forte connotazione turistica (Liguria, Toscana e Puglia). Le prime cinque regioni classificate (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Lazio, Puglia) si aggiudicano il 50% dell’intero giro d’affari, producendo da sole oltre un miliardo di euro. Lo studio presentato oggi da ASI sembra quindi aver tutte le carte in regola non solo per essere discusso, ma anche e soprattutto per essere considerato un punto di partenza per una politica di sviluppo del settore più che una mera analisi di consuntivo.

 

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