Chiamatela supercar dei record, se volete. Anche se ha avuto poca fortuna, la Cizeta Moroder V 16 T ne ha battuti un paio ben 35 anni dopo la sua nascita. Nel gennaio 2022, il prototipo, appartenente al produttore discografico altoatesino Giorgio Moroder, è stata la prima supercar venduta all’asta con un pacchetto Nft (Non Fungible Token) compreso nel prezzo. Per la cifra di 1.191 mila euro, il secondo proprietario ha acquisito contenuti multimediali esclusivi, fra cui lo scan tridimensionale dell’auto. Si tratta della stessa show car svelata da Jay Leno il 5 dicembre 1988 nella cornice glamour del Century Plaza di Beverly Hills, per il Los Angeles Auto Show. Per l’occasione, Moroder scrisse la colonna sonora “A car is born”.
La Grace Jones delle supercar. La V 16 T è la Grace Jones delle supercar. Qualcosa di mai visto prima, anche in quei tempi di edonismo sfrenato. L’acronimo Cizeta deriva dalle iniziali di Claudio Zampolli, il tecnico modenese che lascia la Lamborghini per avviare un’attività di gestione di auto esotiche in California. Un giorno conosce Moroder, pioniere della disco e della musica elettronica da film, con tre premi Oscar e quattro Grammy in salotto.
Futuribile, come la sua musica. Uno che ama anticipare i tempi, anche in fatto di macchine. Naturale che accetti di diventare socio per costruire la supercar più esclusiva di tutte. Qualcosa di futuribile, come la sua musica. “L’idea mi è venuta alla fine del 1984, convinto che sui principali mercati e soprattutto in America, dove risiedo ormai da anni, ci fosse ancora spazio per questo genere di vetture”, racconta Claudio Zampolli a Quattroruote.
Berlinetta esclusiva. “La V 16 T era già nella mia mente: doveva essere una berlinetta esclusiva a due posti, dalla linea aggressiva e spinta da un 16 cilindri piazzato al centro”. Un biglietto da visita importante, nonché uno dei rarissimi casi di V16 realizzati dopo la seconda guerra mondiale.
Produzione in-house. Lo sviluppo prende l’avvio nel 1985 alla Tecnostile di Achille Bevini e Oliviero Pedrazzi a Campogalliano, non lontano dalla “Fabbrica blu” della Bugatti, secondo un programma ambizioso di progettazione e produzione completamente in-house. Messo al banco, il 16 litri aspirato in lega di alluminio gira benissimo. Ha una meccanica raffinata e potente, senza la mediazione dell’elettronica (quella, ai tempi, è ancora roba da… Moroder), ma semplificata al massimo per facilitarne la manutenzione. I problemi che ostacolano lo sviluppo della V 16 T arrivano dal telaio.
Il design affidato a Gandini. Il prototipo dello scatolato in acciaio è scartato; meglio la struttura tubolare in lega di molibdeno, meno costosa e più pratica. A chi può essere affidato il design, se non a un altro ambasciatore dello stile italiano, come Marcello Gandini? Le attese non vanno deluse: le matite dello stilista delineano una sportiva a due posti dalla forma a cuneo molto pronunciata, riconoscibile dai quattro proiettori a scomparsa e dai “pettini” laterali tipo Testarossa.
Il prologo della Lamborghini Diablo. Gandini dichiarerà poi che la V 16 T è il prologo della Lamborghini Diablo, oltre ad avere una certa aria di famiglia con la Bugatti EB 110. “Sono tutte auto a motore centrale che hanno lo stesso spirito, salvo che il 16 cilindri di Zampolli si era un po’ distaccato dai 12 di Ferrari e Lamborghini”, spiega oggi il grande designer. “Per la Cizeta non mi fece richieste particolari, l’impostazione tecnica era già definita, l’ho solo vestita, senza grossi problemi. Dato il grande ingombro trasversale, il motore è stato collocato per forza in posizione più avanzata, davanti alle ruote posteriori e non fra loro. Questo spiega anche la larghezza dell’auto”.
Un’avventura da sei miliardi di lire. Il primo esemplare fu ultimato nella notte del 25 novembre 1988, prima di volare a Los Angeles per lo show. A quella data l’avventura è già costata sei miliardi di lire, omologazioni escluse. Il piano è di produrre 25 unità, che a pieno regime sarebbero diventate 50 all’anno, vendute a 300 mila dollari (400 milioni di lire) di allora. Nel 1990, però, la Cizeta perde il cognome Moroder, diventando Cizeta Automobili. Troppi costi e troppi ritardi ne hanno inficiato le aspettative.
Zampolli invece tira dritto: il potenziale c’è. Il 16 cilindri a V sprigiona qualcosa come 560 CV e 542 Nm e vola da zero a 100 in 4 secondi, per toccare i 328 orari di velocità massima. Emanuele Sanfront la guida su strada per Quattroruote e riporta che “il bolide si rivela abbastanza agile e, una volta presa la mano, diventa divertente, a patto però di usare con delicatezza l’acceleratore”.
Il sogno finisce sul nascere. Confermate anche le ottime impressioni sul V16: “Sorprende, perché consente di disporre, già dai regimi più bassi, di tutta la potenza. I cavalli vengono scaricati a terra con progressività, il che rende la V 16 T non troppo impegnativa, soprattutto quando si affrontano curve strette”. Sì, tutto sembra facile e possibile, in quegli anni. Anche reinventarsi costruttori. Dura solo una decina di Cizeta il sogno del “selvàdeg”, il selvaggio, come era soprannominato Zampolli. “Un uomo molto gradevole e coraggioso, che avrebbe meritato miglior fortuna. Ha avuto il coraggio di farla a Modena: per quel che ne so, molte difficoltà sono nate da quello, perché quella macchina aveva dato fastidio a qualcuno”, si lascia sfuggire Gandini. Ma la storia ha confermato che, sulle supercar a 16 cilindri, il tecnico scomparso nel 2021 aveva visto giusto. Per maggiori informazioni e approfondimenti consultare il sito https://www.menudeimotori.eu/blog/nascita-e-fine-della-cizeta-automobili.