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De Tomaso Deauville: l’ammiraglia italiana dal cuore yankee

A fine anni 60, Alejandro De Tomaso intendeva rimanere l’unico produttore italiano ad avere in gamma berline di gran lusso. Come al solito sfruttò abilmente la situazione: Maserati stava per pensionare la prima generazione della sua Quattroporte e Lancia avrebbe abbandonato il settore con l’uscita di scena della Falminia.

Nel 1970 chi voleva un’ammiraglia di alto profilo, poteva scegliere essenzialmente tra Jaguar e Mercedes-Benz. Diversi produttori indipendenti tentarono di fare concorrenza alla XJ e alla Classe S e nacquero così modelli come la Iso Rivolta Fidia/S4 e la Monteverdi High Speed 375/4. Sulla carta, potenza ed esclusività non mancavano, ma risorse di sviluppo limitate, una produzione artigianale e una rete vendita non capillare, se non del tutto inesistente, fecero crollare ogni velleità di successo commerciale. Alejandro De Tomaso, tuttavia non era un tipo che rinunciava facilmente ai suoi progetti: costi quel che costi.

La nuova ammiraglia. L’occasione per realizzare una berlina di lusso arrivò mettendo insieme le risorse Ford e Ghia, già in ballo per lo sviluppo della granturismo De Tomaso Pantera. A fine anni 60, il “solito” Tom Tjaarda in forza al centro stile Ghia aveva proposto dei bozzetti e supervisionato dei prototipi per una vettura Ford di ispirazione europea. A Detroit, i vertici Ford non diedero seguito al progetto e De Tomaso colse la palla al balzo, facendo ripartire lo sviluppo di una nuova ammiraglia. La De Tomaso Deauville evocava lusso e sportività. Certo, il motore V8 Ford Cleveland che già equipaggiava la Pantera non era propriamente “aristocratico”, ma forte di 300 CV (SAE) offriva una potenza decisamente superiore a quello delle sue rivali principali. La Deauville venne presentata al salone di Torino del 1970 e venne prodotta a partire dal ’71.

Il corsaro in autostrada.
Con una velocità di punta di 230 km/h, la De Tomaso Deauville si confermò una delle berline più veloci del periodo. De Tomaso, famoso per i suoi atteggiamenti spregiudicati, durante l’anteprima riservata alla stampa a Modena, dichiarò di essere appena arrivato da Roma a bordo della nuova ammiraglia. Con scontrini autostradali alla mano, De Tomaso esaltava le doti dell’auto millantando di aver viaggiato ad oltre duecento all’ora di media. Una trovata sensazionalistica, ma soprattutto una panzana bella e buona: anche in un’epoca in cui non vi erano autovelox era impensabile percorrere oltre 400 km a velocità costantemente (e abbondantemente) superiore ai 200 km/h. Con buona pace di Alejandro e delle sue indubbie capacità di guida.

Un abitacolo extra lusso. La parte telaistica venne curata da Giampaolo Dallara, che mise a punto delle efficaci sospensioni indipendenti. La trasmissione prevedeva un cambio manuale ZF a cinque marce o un automatico di origine Ford, a tre rapporti. Per placare la sete del possente motore V8, ai lati del bagagliaio vennero installati due serbatoi dalla capacità complessiva di 120 litri di carburante. Una soluzione analoga a quella della Jaguar XJ6. In realtà tutta l’impostazione stilistica e meccanica della De Tomaso Deauville, richiamava in maniera evidente la Jaguar XJ. Tom Tjaarda affermò che il suo progetto era precedente a quello della XJ, ma la somiglianza restò marcata. La Deauville sfoggiava maggiore personalità negli interni, che potevano vantare un tripudio di materiali pregiati e un’eleganza degli abbinamenti eguagliabili da poche vetture.

Si paga tutto. Tutto ciò avrebbe anche potuto giustificare il suo prezzo esorbitante, che nel 1971 era di L. 6.500.000, contro i 5.575.000 di una Mercedes-Benz 350 SE, a condizione che anche la dotazione fosse stata adeguata allo sfarzo degli interni. Invece, accessori come servosterzo, gli alzacristalli elettrici ed il condizionatore d’aria, propri di un’ammiraglia erano tutti a richiesta. Persino il lunotto termico andava pagato a parte. Una mossa tanto furba, quanto sgradevole, ma De Tomaso sapeva che la clientela della Deauville non avrebbe badato a spese. Il preventivo balzava così a oltre otto milioni di Lire, l’equivalente della Mercedes-Benz 300 SEL 6.3: una sfidante contro cui sarebbe stato difficilissimo competere per qualunque marchio.

Tempi difficili. La Deauville arrivò sul mercato in un momento critico e si rivelò un flop commerciale. Nonostante le velleità,  De Tomaso non era un brand conosciuto e nel settore del lusso, oggi come allora, il blasone conta. A fronte di un prezzo più elevato, la Deauville non offriva dotazioni superiori alle rivali di riferimento, anzi.  Di solito le varie “debuttanti” nei segmenti di prestigio puntano molto sugli accessori extra per strizzare l’occhio a potenziali nuovi clienti. Poco dopo, nel bel mezzo della crisi petrolifera ci fu anche l’uscita di scena della Ford dagli equilibri della De Tomaso: ciò determinò anche la mancata omologazione della Deauville negli USA, che all’epoca era il mercato d’elezione per le auto di lusso. Infine, il colpo di grazia alla Deauville arrivò dallo stesso Alejandro De Tomaso.

Sorellastre. Alla fine degli anni ’70, De Tomaso aveva acquisito il controllo della Maserati. E proprio dal pianale della Deauville nacque l’ammiraglia  Quattroporte III, caratterizzata dalle linee squadrate tracciate da Giugiaro. Il nuovo modello, sebbene si mantenesse su volumi di produzione relativamente bassi, surclassò subito la Deauvile. Il maggior blasone del Tridente, che proprio in America trovava molti estimatori e uno stile più moderno finirono per cannibalizzare le vendite della De Tomaso Deauville. Al termine della sua lunga e sofferta carriera, la Deauville totalizzerà meno di 250 vetture. Prodotta dal 1971 al 1988, l’ammiraglia italoamericana venne sottoposta a vari affinamenti meccanici che vennero riportati anche sulla Maserati Quattroporte.

Novità sottopelle. La seconda serie della Deauville venne introdotta nel 1980 ed era riconoscibile per i paraurti con i bordi in plastica nera e gli indicatori di direzione integrati. Ma, le novità più importanti erano celate sotto pelle: il motore era stato spostato indietro di 10 cm, migliorando la distribuzione dei pesi. Così come la geometria delle sospensioni, le stesse utilizzate per la Quattroporte III. Anche il propulsore venne rivisto e montò un impianto di iniezione in luogo dei carburatori. Per l’occasione venne aggiornata la trasmissione, lo sterzo divenne servoassistito e l’aria condizionata entrava nella dotazione di serie. Altre migliorie riguardarono la componentistica: dai pellami e i rivestimenti interni, al disegno delle ruote, come pure l’impianto di scarico e i fari.

Quotazioni in crescita. Alla luce di quanto detto, non desta stupore il fatto che la produzione della DeTomaso Deauville, dopo 17 anni si sia conclusa con appena 244 unità: tra queste anche un esemplare blindato destinato alla Polizia di Stato. Nel mondo del collezionismo le vetture a quattro porte sono spesso penalizzate, ma i collezionisti di berline esistono, per fortuna. E sono tra i più raffinati coinnesseur del mondo automotive. Proprio loro sono i principali custodi di queste straordinarie granturismo formato famiglia. Dopo decenni di oblio, da alcuni anni le quotazioni delle Deauville sono in aumento, per un esemplare in ottime condizioni è necessario un esborso di almeno 50 mila euro. Al netto del valore, poche vetture possono vantare lo stesso livello di esclusività. Ancor meno possono competere con il suo fascino. 

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