Sono stati motivi di orgoglio non solo cittadino, fulgido esempio di efficienza industriale italiana: oggi sono ruderi cadenti invasi dai topi. A distanza di oltre sessant’anni dal devastante bombardamento aereo che li ridusse in macerie fumanti il 30 aprile 1944, gli stabilmenti della ex Innocenti di viale Rubattino a Milano sono di nuovo colpiti a morte.
Questa volta dall’incuria e dall’abbandono, ma anche da una storia travagliata di passaggi societari, battaglie sindacali e disimpegni dei proprietari. Dopo la guerra, una febbrile opera di ricostruzione e riconversione porta alla nascita di una fabbrica modernissima dislocata su un’area di circa un milione e mezzo di metri quadrati, di cui almeno 300 mila di capannoni coperti ariosi e pieni di luce.
Da qui, negli anni d’oro della Innocenti, escono 150 “Lambretta” al giorno; i dipendenti arrivano a quota 2500 unità, siddivisi tra stabilmento motori, stabilimento meccanico e stabilimento metallurgico. L’avventura automobilistica comincia solo nell’autunno del 1960, quando viene avviato il montaggio dell’Innocenti “A40” inglese, assemblata su licenza in Italia con carrozzerie stampate a Milano. Dalla catena di montaggio escono via via le “Mini”, poi la “IM3”, le “Mini” di Bertone e persino le Maserati “Biturbo”.
Poi la vendita alla Fiat (primi anni Novanta) e il progressivo “spegnimento”.