“Ha studiato, si è laureata, interviene a incontri, si interessa di politica, fa un lavoro che agli albori del secolo non è certo considerato da donna, come non è da donna guidare l’automobile”. È la fotografia di Ernesta Bittanti Battisti, nata nel 1871 e morta nel 1957, moglie dell’irredentista Cesare Battisti, contenuta nel libro “L’ultima donna del Risorgimento”, scritto da Lina Anzalone e pubblicato dalla casa editrice reggina Città del Sole edizioni.
Scrittrice, giornalista, insegnante, Ernesta è un volto femminile in quella prima guerra mondiale che, secondo molti storici, fu per l’Italia la quarta guerra d’indipendenza (da qui il titolo del libro), ed è un volto femminile nell’antifascismo italiano. Lei arriverà a vedere un’Italia libera, negli ultimi anni della sua lunga vita.
Nel 2015, 70° anniversario dalla Liberazione, appare doveroso ricordare una donna che non solo guida l’automobile nei primissimi anni del Novecento, ma sensibilizza l’opinione pubblica sull’uso di questo mezzo di trasporto privato (allora di lusso) e si attiva per un servizio di autoambulanza per i poveri in caso di emergenza. Un dettaglio controcorrente in una vita controcorrente, vissuta nello scenario di una città, Trento, che è in sé, in quegli anni, una specie di linea di confine incerta.
Particolarmente significativo il passaggio del libro della Anzalone in cui viene richiamato l’articolo di Ernesta Bittanti Battisti pubblicato su “Il Popolo”, in cui non fa passare inosservato “l’arrivo della prima automobile per il trasporto degli ammalati di campagna” voluta dall’Automobile Club di Milano o l’uso del tassametro, costruito a Berlino e adottato dalla società Omnibus e Vetture sempre a Milano.
Nel 1916 il marito, cittadino dell'Impero Austro-Ungarico che combatte dalla parte dell'Italia, viene catturato dall'esercito asburgico, condannato a morte per alto tradimento e giustiziato. Ernesta ne raccoglie e ne cura gli scritti, e intanto si oppone al regime autoritario che si fa strada. Dopo l'omicidio di Giacomo Matteotti, saputo che i fascisti di Trento intendevano raggiungere il Castello del Buonconsiglio, vi si reca per coprire con un velo nero il monumento al marito. Il 19 febbraio 1943 fa pubblicare sul Corriere della Sera un necrologio dell'amico ebreo Augusto Morpurgo. Poco più di due anni dopo, il 25 aprile 1945, alle 8 del mattino via radio, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai) proclama l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari della Libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa. Ernesta Bittanti Battisti morirà dodici anni dopo, nel 1957, lasciando al nostro Paese un’eredità fatta d'indipendenza di pensiero e di lungimiranza.
Il suo posto nella storia del giornalismo italiano risale al 1900, quando, durante i lavori del Secondo congresso regionale del Partito socialista italiano in Trentino, si decide di affidare ai coniugi Battisti la direzione del primo giornale socialista, Il Popolo. Colonne di indipendenza e di libertà, in cui si parla di diritti delle donne, di divorzio, di automobili. Il giornale incontra da subito il favore della cittadinanza, ma non quello del governo austro-ungarico: scattano la censura e il sequestro. Dopo la sua chiusura, Ernesta collabora con diverse testate giornalistiche nazionali e non, e, durante il terremoto di Reggio Calabria e Messina del 1908, diventa di fatto la prima corrispondente donna della storia del giornalismo italiano. Nel supplemento Vita trentina sensibilizza le donne "a voler acquisire piena cittadinanza e capacità decisionale con il voto". Ma si dovrà attendere fino al 1946 per l’introduzione del suffragio universale in Italia. Appena dopo la Liberazione, 70 anni fa, appunto. Ernesta Bittanti Battisti aveva premuto sull’acceleratore, e tanto, forse troppo per quei tempi: ma abbastanza da vedere già allora un traguardo lontano.
Elisa Latella