La 1800 e la 2100 sono state le prime Fiat del dopoguerra a montare un motore a sei cilindri, eppure non scaldano i cuori degli appassionati. Sessant’anni fa erano ammiraglie comode e moderne, oggi si cercano col lanternino.
Se nel primo dopoguerra l’ammiraglia Fiat era la Fiat 1400-1900, alla fine degli anni Cinquanta arrivò quella che, per un decennio, assumerà con maggiore efficacia e stile questo ruolo, la 1800-2100, evoluta poi nella 2300.
Sessanta candeline. Al Salone di Ginevra del 1959, dunque sessant’anni fa, venne presentata la prima sei cilindri del dopoguerra della Casa torinese, costruita anche in versione station wagon (seguirà nel 1961 la coupé). Già nel 1957, a settembre, Quattroruote pubblicava le prime foto della nuova grande berlina, considerata “in avanzata fase di realizzazione”.
Sei è il numero magico. In quell’anno, infatti, il progetto “112” era in pieno sviluppo e veniva descritto dalla dirigenza di allora con queste parole: “Le caratteristiche principali dovranno farne una vettura capace di sostenere la concorrenza dei modelli internazionali più avanzati nel campo delle vetture per uso normale”. In quella fase non era ancora stato deciso di montare motori a sei cilindri, ma si pensava piuttosto a un quattro cilindri per la versione di cilindrata inferiore e a un otto cilindri per quella di cilindrata superiore. L’ingegner Dante Giacosa, il celebre progettista della Fiat, disegnò invece un sei cilindri in linea di 1,8 litri, anche per riallacciarsi storicamente ai motori d’anteguerra con questa configurazione.
Un tandem d’eccellenza. Nella realizzazione del nuovo propulsore a giocare un ruolo fondamentale fu un altro celebre progettista, l’ingegner Aurelio Lampredi, assunto alla Fiat nel 1956 e proveniente dalla Ferrari. Lampredi progettò una nuova testata con camera di combustione ispirata a quella dei motori da corsa e detta, in linguaggio tecnico, “polisferica” (rapporto di compressione 8,8:1). Per quanto riguarda la linea, fu invece ancora Giacosa a decidere che per la nuova berlina si sarebbero abbandonate le forme curve della 1400-1900 in favore di altre più rettilinee, ma anche più spigolose, tanto di moda negli Stati Uniti.
Pronta a una nuova sfida. Quando la carrozzeria ebbe la forma pressoché definitiva, un modello in gesso, verniciato, venne inviato a Pininfarina per avere un suo autorevole parere. Il grande Pinin apportò solo pochi ritocchi, in particolare alla griglia e ai fregi anteriori. E così la 1800-2100 entrò in produzione e, a marzo del 1959, Quattroruote, presentandola, titolò così: “Contrattacco Fiat in Europa” scrivendo poi nel sommario: “Al Salone dell’Automobile di Ginevra la Fiat assumerà un ruolo di primo piano per l’imponenza della sua partecipazione. La 1800 e la 2100 appariranno nelle versioni berlina, station wagon e ministeriale. La classe di tali vetture e, soprattutto, i loro bassi prezzi, dimostrano che con queste due novità, la Fiat intende sferrare la battaglia della concorrenza su un piano europeo, nella categoria di vetture di cilindrata superiore alla media”.
Salto di qualità. Moderna, razionale, elegante e spaziosa, la 1800 costava 1.485.000 lire, la 2100 1.560.000 lire (1.650.000 la 1800 familiare e 1.725.000 la 2300 familiare), circa il 50% in più della 1100/103. Dal punto di vista tecnico si osservavano, oltre al già citato motore a sei cilindri in linea di 1795 e 2054 cm³ con rispettivamente 75 e 82 CV Din, il cambio a quattro marce con comando al volante, l’alimentazione a un carburatore doppio corpo, le sospensioni indipendenti all’avantreno e ad assale rigido al retrotreno, freni a tamburo con “surpressore” per aumentare l’efficacia della frenata sulle ruote davanti.
Ci vanno braccia forti. All’interno lo spazio era notevole, con il sedile a panchina anteriore con schienale regolabile diviso in due parti e il volante di ampio diametro ma senza servosterzo. La versione ministeriale in realtà venne chiamata 2100 Speciale e venne realizzata dalla sezione Carrozzerie Speciali. Si differenziava per la lunghezza (da 4,465 metri a 4,625 metri), il maggiore spazio per i passeggeri posteriori e la carrozzeria leggermente modificata: diverso frontale con quattro fari e cinque listelli orizzontali, assenza dei profili cromati sulla parte superiore delle fiancate e altri piccoli dettagli.
Anche in versione low cost. La station wagon, invece, era lunga 4,48 metri e appariva molto elegante, a dispetto delle dimensioni imponenti. La verniciatura era bicolore. Nel 1961 arrivarono la 1800 B e la 2300, naturale evoluzione della prima serie, con una serie di miglioramenti, tra cui i freni a disco, che le rendevano più al passo coi tempi. Nel 1962 fu la volta di una versione più economica, con il motore 1500 a quattro cilindri e linea identica a quella della 1800B, pensata inizialmente per i taxisti.
Quanto vale oggi? Per la grande svalutazione subita negli anni Settanta, dovuta anche all’alto costo del bollo, la gran parte di queste vetture è andata persa. Ciò fa oggi della 1800 e della 2100 due berline piuttosto rare. Le quotazioni sono ancora ragionevoli partono da 10.500 euro per la 1800/1800 B e arrivano fino a 18.000 euro per la 2300 Speciale e 19.500 per la 2300 Lusso Familiare. Meno quotata la 1500 L: sui 9000 euro.