Il “Nuvolari”, che gara! Tutti col fiato sospeso per le posizioni di rincalzo, ma i vincitori, Andrea e Roberto Vesco con l’Alfa rossa hanno fatto quello che volevano, lasciando poche chances agli avversari.
Il “Nuvolari”, così, al maschile, come lo chiamano tutti, è una cosa sola e tante assieme. È gara, soprattutto: lunga, combattuta, impegnativa, alla Nuvolari, Tazio si capisce, mica una passerella per fighetti coi risvoltini. Poi è spettacolo, macchine pazzesche: le anteguerra per cominciare, automobili prossime al secolo di vita, qualcuna con i segni del tempo cuciti addosso, esibiti con orgoglio e vernici lucide, una volta, forse. Il “Nuvolari” è resistenza, fatica sana, concentrazione, adrenalina e passione. Il “Nuvolari” è Italia, tanta, negli occhi e lungo le strade: covid, mascherine, distanza, niente omaggi quest’anno, amen. Ma chi rinuncia a una cosa così? Nessuno. Non gli organizzatori, di sicuro. Scuderia Mantova Corse: Claudio Rossi, Luca Bergamaschi, Marco Marani e una pletora di collaboratori, perché si capisce che dietro c’è tanto lavoro di squadra. Non gli sponsor, per fortuna, gli storici Red Bull e Gruppo Finservice e il debuttante timekeeper ufficiale TAG Heuer, casa orologiera legatissima al mondo del motorsport. Non i 138 equipaggi al via, ognuno col proprio obiettivo principale: vincere magari, arrivare nei primi venti se va bene, farsi una guidata da urlo è ovvio.
Che competizione! Andrea Vesco l’ha messo subito in chiaro che avrebbe voluto vincere anche questa edizione del Nuvolari, la trentesima per l’esattezza. Lui che di Nuvolari ne aveva già vinte sette e che per una dozzina di volte era salito sul podio. In testa dalla fine della prima tappa all’ultimo tubo “per non perdere concentrazione, motivazione e per mettere pressione sugli avversari”. E poi la gioia di vincere con il papà Roberto, la prima volta a Mantova. Dietro la sua Alfa Romeo 6C 1750 SS Zagato del 1929 s’è scatenata una battaglia tra almeno altri cinque o sei equipaggi a contendersi i primi posti. E gli altri dietro, a provare a stare almeno nei primi venti o nei primi trenta. Sul podio, alla fine, sono saliti gli equipaggi Belometti-Bettinsoli su una spettacolare Lancia Lambda del 1929 e Passanante-De Alessandrini su Fiat 508C del 1937. Emanuela Cinelli e Giulia Rampini, invece, si sono affermate con la loro Triumph TR2 del 1955 nella classifica riservata agli equipaggi femminili e comunque al ventunesimo posto assoluto: complimenti. E tra le scuderie, infine, ha primeggiato il Classic Team. E noi? Noi bene, dai, un po’ più indietro del previsto, ventottesimi accidenti, ma soddisfatti dei progressi e soprattutto di una Triumph TR3 che non ha fatto un plissé in mille e passa chilometri di gara. Chapeau.
Dunque, quattro giorni così, belli pieni. Dalle verifiche ai saluti. Detto da chi si emoziona guardando le macchine ordinatamente parcheggiate in piazza Sordello prima del via, ascoltandole mentre fuggono via al prossimo C.O.. Bugatti, Ferrari, Lancia, Aston Martin e Bentley, Alfa Romeo e Fiat assordanti testimoni di un’epoca lontanissima, indispensabili oggi per vincere gare di regolarità imprevedibili e tecniche, altro che passeggiate per vecchie signore.
Percorso da 10 e lode, oltretutto. Pronti via, un tuffo nella Motor Valley. Poi su sull’Appennino, dentro un’Italia verde fatta di curve e tornanti e borghi d’una bellezza da togliere il fiato. Si capisce che gli stranieri vadano via di testa quando passano da noi. Amore per le auto a quota mille, anche escludendo il pubblico di Faenza, ancora gasato per la vittoria di un’Alpha Tauri (la ex Toro Rosso ex Minardi, per capirci) a Monza due settimane prima. I bambini sui marciapiedi, quelli che parcheggiavano la macchina storica fuori dal cancello di casa, i nonni che salutavano. Dai, non si può restare indifferenti…