Non mi hai venduto la Tyrrell P34 F1 originale? E io me la rifaccio da solo sui disegni originali, così posso portarla in pista nei gran premi storici. Ecco come la CGA Race Engineering ha rifatto da zero una delle monoposto più indimenticabili degli anni Settanta. Con la benedizione della famiglia Tyrrell.
Alzi la mano chi da ragazzino non ha avuto il modellino Polistil o la Policar da pista elettrica della Tyrrell P34 a sei ruote. Fra i rari vantaggi del diventare adulti e arricchirsi adeguatamente, c’è la possibilità di potersi permettere la monoposto originale e correrci nei GP storici. Almeno così pensava il facoltoso Jonathan Holtzman, che però si era ripetutamente visto negare l’acquisto di una delle poche P34 originali esistenti. L’unica alternativa? Clonarla dai disegni originali, come se fosse un dinosauro di “Jurassic Park”. Così nel 2018 ha dato incarico alla CGA Race Engineering di Warrington, Inghilterra, di ricostruire da zero una delle monoposto più indimenticabili del fantasmagorico Circus degli anni Settanta. L’operazione di tipo “continuation” ha ricevuto la benedizione di di Bob Tyrrell, figlio del leggendario Ken; ed è andata ben oltre il famoso restauro – lo ricordate? – della Ferrari 312B dell’ex pilota e industriale Paolo Barilla. La P34 non sarebbe rinata per essere esposta in questo o quel concorso d’eleganza, ma per girare in pista con le altre F1 originali. Il debutto è arrivato lo scorso weekend al Masters Historic Festival di Brands Hatch dove ha vinto un’altra Tyrrell-Cosworth, la 011B.
Six is megli che four? Sì, almeno in teoria. Il progettista Derek Gardner era convinto che quattro ruote più piccole (10”) su due assi anteriori avrebbero permesso di rendere più basso e affusolato il frontale dell’auto. La carreggiata ridotta e l’impronta a terra dovevano garantire un’entrata in curva più grintosa e maggiore aderenza. Di quanto fosse visionaria la P34 si sono accorti subito gli ingegneri della CGA, nel seguire pedissequamente la ricostruzione dello chassis a T basandosi sulle cianografie originali dell’esemplare numero 9 del 1976. Unica differenza, il materiale del roll bar: acciaio anziché titanio, per rispettare i regolamenti vigenti. Da bravi “garagisti inglesi” di alto livello, hanno utilizzato ogni arma del proprio arsenale tecnologico per ricreare lo chassis della P34. Non contenti, hanno chiamato per una consulenza John Gentry, che entrò in Tyrrell nel ’77… proprio per rimpiazzare la P34. In due anni di lavoro serrato, sono occorse ben settemila ore di reverse engineering, fra lo scan in 3D delle parti originali, il design e ricostruzione delle parti. Più altre ottocento ore di lavoro manuale per l’assemblaggio intorno al Cosworth aspirato, per un conto finale non divulgato alla stampa, ma sicuramente esoterico e – forse – inferiore al milione di euro circa pagato nel 2012 per una “sei ruote” ex Patrick Depailler.
Sì, ma ne valeva la pena? Chiedetelo al committente: la P34 clonata è un fatto di pura libidine estetica e progettuale, perché i risultati sportivi furono scarsi. Però è rimasto nella storia l’unico Gran Premio vinto nel ’76, quello di Svezia ad Anderstorp. Guardare una delle tue ruote anteriori mentre rotola via dal telaio, è una situazione che avrebbe eccitato solo uno come Gilles Villeneuve. Invece Jody Scheckter non si scompose più di tanto e guidò la Tyrrell P34 fino ai box come una mosca con una zampa in meno. Rimontata la mancante, tornò in testa e vinse, per quanto la vettura – avrebbe detto poi – “con cinque ruote fosse un filo sottosterzante”. Dal 1978 la FIA rese le quattro ruote un dogma e oggi il mondo della Formula 1 è irregimentato in una serie di regole così fitte, da rendere impossibile un’auto così strana e visionaria. Al di là di attirare i click (delle macchine fotografiche), l’approccio innovativo e anticonvenzionale di Ken Tyrrell fece sensazione e contribuì a far staccare la tecnologia racing dieci metri più in là. Altre scuderie – Lotus, March, Williams, addirittura la Ferrari – seguirono l’esempio sperimentando quattro ruote anteriori o posteriori. Lo schema fu adottato anche da un paio di supercar, la Panther 6 presentata nel 1977 a Earls Court; e la sua erede Covini C6W, avvistata nel 2004 al Goodwood Festival of Speed.