Seicento chili, motore centrale di 1,6 litri, oltre 200 all’ora. De Tomaso esordì con questa coupé nel settore delle granturismo. Ma nonostante le buone premesse, se ne costruirono soltanto poche decine. Questa non è mai stata immatricolata.
Solo 55 esemplari costruiti da una piccola factory, quella di De Tomaso, che fa miracoli. Soprattutto con le poche lire a disposizione. Eppure questa Lotus all’italiana, nel 1965, è al via a Monza: la lotta tra le sport 2000 è impari, con in prima fila le Maserati “Birdcage” e le Porsche “906”. Il titolo andrà al romano Franco Bernabei, al volante di una De Tomaso piccola e agile, una “1500” da 104 cavalli, la “Vallelunga”. Nessuna vettura italiana può vantare tanta leggerezza e potenza insieme, un telaio tubolare monotrave, un motore centrale, una scocca in vetroresina.
Il propulsore è un quattro cilindri Ford, la linea è disegnata da uno stilista italoamericano, Trevor Fiore. Il prototipo (in alluminio come quello di una spider da corsa) è costruito da Fissore, poi De Tomaso conclude un accordo con la Ghia per la produzione in serie delle scocche della coupé: ne saranno realizzate 53, tra il 1965 e il 1967, tutte in vetroresina. L’esemplare della prova è di proprietà della De Tomaso e si trova nel piccolo museo allestito a Modena accanto allo stabilimento. Costruito nel 1965 e mai immatricolato, ha percorso appena un migliaio di chilometri. Gli interni sono essenziali, quasi spartani, anche se non manca un tocco di eleganza: i rivestimenti dei sedili, avvolgenti per impedire al pilota di scivolare nelle curve strette, sono in finta pelle, il volante è a tre razze con i bulloni del mozzo a vista; pannello portastrumenti e tunnel centrale sono rivestiti in legno.
Si guida sdraiati, l’assetto è rigido: sullo sconnesso la piccola De Tomaso tende a saltellare, ha improvvise perdite d’aderenza. Ma la perfetta ripartizione delle masse e la buona risposta dello sterzo permettono pronte e sicure correzioni. Unica accortezza, non mollare di colpo l’acceleratore per evitare repentini trasferimenti di carico. La velocità massima è notevole (215 km/h), il confort no: basta superare i 4000 giri (il motore si può “tirare” sino a 6500) per avvertire un rombo che, se sulle prime può far piacere, alla lunga stordisce. Il calore è un guaio: in estate, il motore alloggiato dietro le spalle del pilota e il lunotto che sotto il sole fa da lente fanno salire le temperature in maniera esagerata. Da forno a microonde.