La seconda generazione della Quattroporte è uno dei modelli meno conosciuti della storia della Maserati. Progettata e prodotta durante uno dei periodi più bui della storia del Tridente, l’ammiraglia modenese è stata sviluppata sotto la proprietà di Citroën e nonostante le prerogative e un comparto tecnico di prim’ordine, fu vittima di un infausto destino.
Denominata Maserati Quattroporte II, l’ammiraglia figlia dell’allenanza franco-modenese venne presentata in anteprima mondiale al Salone di Parigi nell’ottobre 1974. La nuova vettura sposava una filosofia diametralmente opposta a quella della precedente Quattroporte. Per lo sviluppo della Quattroporte II vennero condivise molte soluzioni tecniche con l’alto di gamma della casa francese del Double Chevron. La Quattroporte II era un’ammiraglia “moderna”, ben equipaggiata e ben rifinita. Il telaio di base, mutuato dalla SM e opportunamente allungato prevedeva un nuovo pianale con il motore V6 alloggiato nella zona anteriore in posizione longitudinale, accoppiato a un cambio manuale a 5 rapporti.
Una Maserati alla francese. La condivisione di componenti meccaniche con la Citroën SM, oltre allo schema meccanico, includeva le sospensioni idropneumatiche che garantivano un comfort eccellente e una maneggevolezza invidiabile, anche per merito di un servosterzo idraulico che si alleggeriva o induriva lo sterzo in base alla velocità. La Quattroporte II poteva vantare anche una raffinata geometria di sospensioni a ruote indipendenti con l’avantreno e il retrotreno configurati con schema a bracci multipli. La frenata servoassistita, così come i fari direzionali orientabili e l’impianto di climatizzazione a controllo elettronico con diffusori anteriori e posteriori contribuivano a un elevatissimo comfort di marcia. Inoltre, l’impianto frenante prevedeva quattro dischi autoventilati garantendo una frenata a pieno carico da 100 a 0 km/h in meno di 40 metri, dati eccellenti per una berlina di quel periodo e non lontani dagli standard odierni.
Stile inedito. A seguito all’acquisizione della Maserati da parte di Citroën, la nuova ammiraglia si fece ambasciatrice di un nuovo corso stilistico, più vicino al modernismo francese che al classicismo italiano. Seguendo i dettami stilistici anni 70, la nuova Quattroporte si caratterizzava per linee molto più sobrie e tese, unitamente a una linea molto pulita e minimale opera di Marcello Gandini, all’epoca in forze al Centro Stile Bertone. L’elemento distintivo della fiancata era il montante posteriore con il logo del Tridente impresso tra i profili aerodinamici, mentre sui parafanghi anteriori campeggiava il logo della carrozzeria Bertone.
Andamento lineare. Sul frontale, la grande bocca cromata della prima Quattroporte venne sostituita da una mascherina di piccole dimensioni che separava la fanaleria a sviluppo orizzontale. Dotata di un ampio parabrezza, la Quattroporte II montava tre tergicristalli di piccole dimensioni a garanzia di una visibilità ottimale in tutte le condizioni atmosferiche. La parte che poteva considerarsi meno riuscita era la zona posteriore, fin troppo semplificata: la fanaleria di forma rettangolare e il paraurti non verniciato non erano all’altezza degli standard della vettura. Tuttavia l’ampio baule posteriore assicurava un generoso volume di carico. La Quattroporte II adottava pneumatici 205×70 R15 con cerchi cromati a disco, che riprendevano lo stile di quelli in uso sulle grandi berline Citroen prodotte negli anni 70, come DS e CX. Dei pochi esemplari allestiti, un numero esiguo venne dotato di cerchi in lega forati, dal disegno più sportivo.
La meccanica. Secondo i tecnici della Citroën, il grande motore a 8 cilindri a V che equipaggiava la precedente serie della Quattroporte gravava eccessivamente sull’assale anteriore, già destinato alla trazione e alla sterzatura generando un elevato sottosterzo. Per la Maserati Quattroporte II, si fece ricorso a un propulsore V6 da 3,0 litri basato sulla stessa unità della Citroën SM. L’unità di partenza, identificata con la sigla C114 venne sviluppata dall’Ing. Giulio Alfieri a partire dal V8 Maserati, depauperato di due cilindri. Ne risultò il 2,7 litri V6 da 210 CV, montato sulla “cugina” SM. Per la Quattroporte, invece, la cilindrata passò da 2,7 a 3 litri, con una cubatura di 2.965 cm³. Il nuovo 6 cilindri a V di 90° a carburatori (Weber “44 DCNF”) e iniezione Single Point, equipaggiò anche la Maserati Merak 3000 garantendole prestazioni interessanti. Sulla Quattroporte, con una massa di oltre 1700 kg, i 210 CV bastarono a farle raggiungere i 200 Km/h, una velocità rispettabile per quei tempi, ma lontana dalle prestazioni superlative del modello precedente. Il propulsore erogava la coppia massima ad un alto numero di giri, un paradosso se si considera l’indole rilassata della vettura.
Il V8 che non c’era. Per l’ammiraglia Quattroporte si pensò anche di sviluppare un nuovo motore 8 cilindri con cilindrata di 4 litri, che sarebbe nato dall’unione del V6 da 2,5 litri della Merak e un 1,5 litri. Per testare questo motore, che erogava una potenza di 256 CV venne utilizzata una SM. La nuova unità testata per oltre 17.700 km garantiva prestazioni da vera auto sportiva e venne ottimizzata tra le piste di collaudo di Modena e l’Autodromo Nazionale di Monza. Nel 1975, la fine del matrimonio tra Citroën e Maserati sancì anche la fine dello sviluppo del nuovo motore V8. Quando il marchio fu acquistato dall’imprenditore Alejandro De Tomaso, il progetto venne accantonato, ma il motore fu conservato.
Fine dei giochi. La Quattroporte II andò incontro a un triste destino sin da subito. Poco dopo la presentazione, venne superato lo stadio prototipale avviando la costruzione delle vetture per le prove di omologazione, ma la Quattroporte II non giunse mai alla fase produttiva. In primis, per problemi legati allo sviluppo della scocca, ma soprattutto per l’uscita di scena della Citroën che impedì alla Maserati di ottenere l’omologazione CEE per la vettura. Sullo sfondo della crisi petrolifera, nel 1974 Peugeot, che aveva assunto il controllo della Citroën (anche questa in gravi difficoltà finanziarie), riteneva il progetto Quattroporte non fosse remunerativo, segnando una battuta d’arresto. Senza il supporto dei francesi, la produzione della Quattroporte II si arrestò nei primi mesi del 1975, terminando con il completamento di appena tredici esemplari preserie. Per questo motivo, gran parte delle vetture costruite furono commercializzate in Medio Oriente (e qualcuna in Spagna) dove l’omologazione non era necessaria.
Il lieto fine che non c’è stato. Il fallimento della partnership Citroën-Maserati pose fine allo sviluppo del V8 nel 1975. Quando il marchio modenese venne acquistato dall’imprenditore Alejandro De Tomaso, si abbandonò il progetto per il nuovo 8 cilindri, ma il motore fu tolto dalla vettura di prova e immagazzinato. Il totale della produzione non superò le 13 vetture. Il primo prototipo della Quattroporte II venne ultimato nel 1974, mentre le 12 vetture successive furono costruite su richiesta tra il 1976 e il 1978. Di queste, sei vennero costruite secondo gli standard imposti dalla casa francese, mentre le restanti furono completate e collaudati tra il 1975 e il 1978 dalla proprietà De Tomaso. Ad oggi, si stima che solo 5 dei 13 esemplari di Quattroporte II siano ancora esistenti. La Maserati Quattroporte II, che vide la luce nel complesso contesto economico-politico della crisi petrolifera e concepito da una dirigenza non troppo convinta del progetto, fu un salasso per la piccola azienda che era Maserati nei primi anni 70, costituendo un debito che alla fine del 1978 ammontava a quattro miliardi di lire. Oggi della Quattroporte II non restano che poche immagini, ma la sua portata innovativa e la rarità contribuiscono ad alimentare il fascino di questo modello: una vera regina senza corona.