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Nissan 200SX Silvia (S14), non solo tuning

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: per quelli a cui basta nominare una coupé giapponese anni 90 per pensare subito a raduni di auto con corredo di kit estetici, cerchi aftermarket ed elaborazioni varie (per non parlare di vetture buone solo per il drifting), è necessario un importante distinguo. Nel 1993, quando la Nissan 200SX Silvia fu presentata, il cliente-tipo poteva essere la stessa persona che sarebbe entrata in una concessionaria per comprare una sportiva europea. Ed è solo dalla prima metà degli anni 2000 che questo tipo di auto jap ha attirato una clientela radicalmente diversa.

Una sportiva elegante. L’indole della “S14” (ovvero la penultima serie di questo modello) è infatti quello di una sportiva che, se mantenuta in condizioni di originalità, può certamente fare la sua figura e provocare emozioni forti, ma che non sacrifica il confort sull’altare dell’agilità tra le curve. Insomma, un ottimo compromesso per un’auto che, prima del restyling del 1996 (fari più spigolosi e aggressivi) si faceva notare per un design pulito ed elegante, che ha resistito bene al trascorrere del tempo e non voleva di certo sorprendere con effetti speciali.

Turbo e fasatura variabile: 230 km/h. A confronto con la versione giapponese, la 200SX “europea” aveva 200 CV anziché 217, erogati da un 4 cilindri in linea da 1.998 cm³, associato a una turbina Garrett T28. Rispetto al precedente modello, l’SR20DET aveva beneficiato anche della fasatura variabile delle valvole e di una riprofilatura lato aspirazione dell’albero a camme. La filante coupé nipponica poteva così raggiungere i 230 km/h e scattare da 0 a 100 in 7,5 secondi, performance molto interessanti per la prima metà degli anni 90 e paragonabili a quelle di una coeva 328i 24V. Il fatto che il listino della Silvia fosse, con 45,5 milioni di lire, molto vicino a quello di alcune rivali tedesche, come la Opel Calibra 2.0i 16V da 136 CV, dimostra come le auto giapponesi non fossero così “economiche”, pur dimostrando un buon rapporto prezzo/prestazioni. Questo, in ogni caso, non ha impedito la vendita sul nostro mercato di pochi esemplari di queste sportive del Sol Levante.

Ottimi materiali, poca sportività. La sobrietà esterna – vedi spoiler posteriore basso e discreto, cerchi di lega a cinque razze gommati 205/55R16 – è replicata nell’abitacolo, dove la sportività è poco più che accennata, cosa che potrebbe lasciare delusi. I sedili anteriori, infatti, sono più da berlina e solo la strumentazione con fondo bianco riscatta in parte l’impostazione da granturismo, comoda fino a quattro persone, evidenziata anche da dettagli di finto legno per plancia e portiere introdotti dopo il restyling. Degne di nota le plastiche, realizzate con materiali di qualità, che hanno resistito bene all’usura del tempo.

Una “double face”. Insomma, una divertente e veloce trazione posteriore, con cambio a 5 marce, dotata di Abs, ma priva di altri controlli elettronici, come consuetudine in quegli anni. Un’auto che può appagare il collezionist, ma anche chi la vuole trasformare in un’arma da “time attack”. Anche la Silvia “S14” poi non è stata esente dall’ondata di popolarità che ha sospinto gran parte delle sportive nipponiche verso valutazioni elevate, sia in condizioni di totale originalità sia nel caso di pesanti modifiche. Infatti, per un esemplare non “pasticciato” e in ottima forma, bisogna comunque mettere in conto una spesa di almeno ventimila euro.

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