“Provate a batterla”. Con una certa dose di provocazione, fu questo lo slogan scelto dalla Volvo per lanciare la 245 Turbo, uscita nel 1980 poco dopo la 244 (la berlina) a scompigliare un po’ le carte in un mondo, quello delle familiari – il termine station wagon era ancora di là da venire –, che non attirava certo i clienti con voci quali la velocità massima, l’accelerazione o la ripresa.
Controcorrente. Tutto il contrario di quanto la Volvo scelse di fare con quella che era già diventata un grande successo, soprattutto in Italia, dove a fine anni 80 la versione Polar – poi riproposta alcuni anni più tardi su base 940 – sarebbe stata capace di vendere 15.000 unità, contro le previsioni di poche migliaia. La 245 Turbo, lunga 4,79 metri, esaltava le ben conosciute doti di robustezza, affidabilità e praticità della versione aspirata, insieme alla possibilità di caricare quasi l’intero contenuto di un appartamento – motivo per il quale era letteralmente adorata da un popolo in perenne spostamento come gli statunitensi -, in più con prestazioni brillanti e di gran lunga superiori ai modelli della concorrenza. Arriva nei listini italiani a fine 1981, prima con cilindrata 2.1 da 155 CV, poi 2.0 da 145, per aggirare l’“Iva di lusso”.
Scattante. Nove secondi per passare da 0 a 100 km/h al giorno d’oggi non fanno alzare nemmeno un sopracciglio, ma per l’epoca erano più che sufficienti per non far sembrare sacrilego associare la parola “sportiva” a questo “monolocale” da viaggio. Dimostrando che la Casa svedese faceva tremendamente sul serio, non limitandosi ad aggiungere cavalli al motore. Per offrire un inedito piacere di guida anche su questa tipologia di vettura, i tecnici intervennero infatti sul comparto sospensioni, adottando ammortizzatori anteriori a gas e una barra stabilizzatrice di maggior diametro anche al retrotreno, mentre l’impianto frenante beneficiò di dischi più grandi e ventilati.
Buona dotazione. All’interno, l’unico elemento distintivo rispetto alle altre 240 è il manometro del turbo posizionato sulla parte destra del cruscotto, esattamente come sulla berlina, mentre con pragmatico senso del risparmio, il resto rimane pressoché invariato. La dotazione di serie era superiore a una 245 standard, equipaggiata con il 2.0 aspirato: infatti, si potevano trovare, tra l’altro, alzacristalli elettrici anteriori, chiusura centralizzata, servosterzo, tetto apribile, retrovisori a regolazione elettrica, fendinebbia e cerchi in lega da 15”. Non mancava la possibilità di avere sedili rivestiti di pelle, trasformando quello che era nato come mezzo da lavoro in una vettura trasversale, apprezzata da uomini e donne. Addirittura, uno status symbol per chi aveva disponibilità economiche, ma non amava le auto vistose: sobrietà e “understatement”, associate a comfort e prestazioni, resero la 245 popolare anche tra le forze dell’ordine, non solo nei Paesi nordici.
Tante doti. Tutte le 240 station stanno diventando sempre più ambite dai collezionisti – oggi, noi le quotiamo dai 5.300 ai 10 mila 500 euro, per un esemplare in ottime condizioni – e anche Hagerty, la più grande compagnia di assicurazioni al mondo specializzata in auto d’epoca, l’ha indicata già da un paio d’anni come un ottimo investimento. Non è una sportiva, non ha un look così seducente, difficilmente si può considerare l’auto d’epoca ideale per divertirsi alla guida, ma ha anche tanti pregi, come la spaziosità per tutta la famiglia, la sicurezza, la robustezza e la qualità di marcia.
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