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Opel Frontera: 4×4 di successo

Alzi la mano chi avrebbe detto che, nei primissimi anni 90, la fuoristrada più venduta in Europa sarebbe stata a marchio Opel. Eppure, dopo soli due anni dalla presentazione al Salone di Ginevra del 1991, la Opel Frontera era riuscita a superare l’agguerrita concorrenza giapponese, anche se con un piccolo trucco.

Anglo-nippo-tedesca. Se infatti sulla calandra spiccava il “Blitz”, l’ispirazione e la meccanica, ma anche le linee generali della carrozzeria, erano Made in Japan, per la precisione Isuzu. La Frontera nasceva sulla base della MU, fuoristrada lanciata in Giappone nel 1989 in due varianti di carrozzeria: anche la 4×4 di origine nipponica e passaporto tedesco – ma prodotta in Inghilterra – era infatti disponibile come Frontera Sport a 3 porte, con tetto asportabile e passo corto e in versione 5 porte a passo lungo. Tre i motori: due benzina, un 2.0 litri da 115 CV e un 2.4 da 125 CV, oppure un turbodiesel 2.3 da 100 CV.

Non solo fuoristrada. L’intuizione di Opel non fu tanto quella di commercializzare una fuoristrada dalla linea massiccia, ma piacevolmente “civilizzata”, quanto piuttosto di presentarla come un veicolo da tempo libero, anticipando la moda delle Suv. Questo nonostante la Frontera avesse telaio a longheroni scatolati e traverse e un retrotreno a ponte rigido e balestre, abbinato alla trazione integrale inseribile: normalmente infatti le ruote motrici erano quelle posteriori, ma, tramite un pulsante, era possibile far intervenire anche quelle anteriori. Oltre alle capacità off-road, grazie alle ridotte, il lavoro degli ingegneri si era però orientato ad avvicinare il comfort a quello di un’automobile.

Record di vendite. Proprio grazie a queste caratteristiche la Opel Frontera conquista la vetta delle vendite nel 1993 e nel 1994, sdoganando questa tipologia di veicolo anche nell’utilizzo normale. Nel 1995 vengono abbandonate le balestre al posteriore, oltre a nuovi propulsori per la variante wagon: il 2.4 lascia infatti il posto a un 2.2 da 136 CV e il 2.3 a gasolio viene prima sostituito con un 2.8 da 113 CV e, dopo solo un anno, da un 2.5 – prodotto dalla VM – da 115 CV. In questa scelta aveva influito non solo l’opportunità di dotarsi di un motore più moderno ed ecologico, quanto la necessità di smarcarsi dal “superbollo” che colpiva i diesel oltre i 2.5 litri.

Tutta nuova e anche con un V6. Molto più che un restyling, invece, la Frontera che entra sul mercato nel 1998: oltre il 50% dei componenti è nuovo, cosa che si nota soprattutto sulla Frontera Sport che, di profilo, mostra un montante con una forma diversa e superfici vetrate più ampie. Anche il telaio viene rinnovato, con un risparmio di peso consistente, quasi 140 kg per la 5 porte, così come la gamma motori: arriva il 2.2 DTI 16V da 115 CV e addirittura un 3.2 V6 benzina 24V, da 205 CV, che permette alla versione Limited di toccare i 192 km/h. Un ulteriore passo in direzione della fruibilità per rendere la Frontera sempre più “automobile”, era rappresentato poi dal sistema “No Stop 4×4”, che permetteva di inserire la trazione integrale in movimento, fino a 100 km/h.

Introvabile in Italia. La Frontera ha segnato l’ingresso della Opel in quello che, allora, era un segmento “esplorativo”, a metà tra l’utilizzo fuoristradistico e quello più stradale, con un design con dotazioni e finiture maggiormente da veicolo da tutti i giorni. A livello collezionistico, la seconda generazione, commercializzata fino al 2003, con motore V6, risulta praticamente introvabile in Italia. Diverso il discorso per le altre versioni, ancora abbastanza diffuse (ma in genere “fruste”) e dalle quotazioni abbordabili, tra i tremila e i cinquemila euro.

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