L’originale modello, con tetto rigido asportabile, inaugurò la serie Cabrio delle Kadett. Non arrivò mai sul mercato italiano, sebbene avesse le carte in regola per ottenere un adeguato consenso da parte della clientela
La storia di ogni costruttore automobilistico è scritta da modelli capaci d’ottenere ampi consensi, commerciali ed emotivi. Al contempo, un ruolo chiave nell’evoluzione e vitalità stessa dell’azienda è rappresentato dalle varianti innovatrici. In quest’ultima categoria rientra l’Aero. La sua storia prende vita nel 1976, anno in cui fa il suo debutto al Salone di Ginevra. Basata sulla terza generazione della variante berlina due porte, con trazione posteriore, sfoggia una personalità di carattere.
Dettagli curati. Fin dal primo istante riesce a catturare l’attenzione degli addetti ai lavori e del pubblico attraverso l’adozione di un tetto rigido amovibile in corrispondenza dei sedili anteriori, abbinato a un robusto roll-bar d’acciaio e una capote posteriore pieghevole. La particolare impostazione del tetto, però, non rappresenta l’unico elemento degno di nota. L’Aero sfrutta tappezzeria e rivestimenti originali, sedili con poggiatesta e cinture di sicurezza con riavvolgimento automatico. Nella strumentazione di bordo sono compresi pure il contagiri, il voltmetro e il manometro dell’olio. In altre parole il potenziale è di livello, in quanto certi equipaggiamenti (all’epoca) venivano montati di serie solamente su vetture appartenenti a segmenti superiori.
Produzione limitata. Un ulteriore tratto distintivo è dato dalla sua costruzione, curata dalla carrozzeria Bauer di Stoccarda. Poche linee, bene definite, compongono un “abito” ben riconoscibile. Dentro al cofano un propulsore a 4 cilindri di 1.2 litri, con una potenza accreditata di 60 cv, abbinato a una trasmissione manuale a quattro rapporti. Quest’ultima, su richiesta può essere anche automatica. L’allestimento prevede, tra l’altro, freni anteriori a disco, servofreno e pneumatici radiali 175/70 R13, montati su cerchi in lega con disegno a stella a cinque punte. La ricercatezza della proposta risulta avvalorata dal numero si esemplari completati: solamente 1.244.
Ambizioni internazionali. La sua costruzione, fondamentalmente, era stata pensata per mettere in risalto le notevoli potenzialità della Opel Kadett-C, presentata tre anni prima al Salone di Francoforte. Un modello pensato per incarnare la figura di un’automobile globale, realizzabile con poche varianti in diversi parti del mondo, utilizzando impianti e componentistica locali. “Grazie alla nuova carrozzeria tutto è più funzionale” scriveva il giornalista-pilota belga Paul Frère dopo una prima impressione di guida della nuova Opel Kadett-C. “Lo si avverte appena entrati nell’abitacolo che è ampio, nonostante l’esterno della macchina non sia cambiato, grazie ai vetri laterali curvi; la visibilità in tutte le direzioni, ma soprattutto in avanti ed indietro, è molto migliorata, grazie al cofano più basso, nonché al parabrezza e al lunotto posteriore più alti”. E sui risultati ottenuti dalla Kadett-C, a ragion veduta, c’è ben poco da ridire: dalla Primavera 1973 all’estate 1979 fu prodotta (complessivamente) in 1.701.075 unità.