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Opel Omega Lotus, esageratamente unica

“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione”. La celebre battuta tratta dal film “Amici miei” calza alla perfezione se si parla della Opel Omega Lotus, un’auto che ha toccato vette impensabili, quasi a suggellare un decennio di eccessi, tra turbine sempre più grandi e alettoni sempre più vistosi.

Una sedan da 283 km/h. Proprio guardando la Opel Omega dalla coda (la visuale abituale per chi aveva la sventura di incontrarla per strada) non si poteva non notare il grande alettone e, soprattutto, le gigantesche gomme 265/40 su cerchi da 17 pollici, roba da supercar. Per intenderci, la Ferrari Testarossa montava i 255/50-16 e, attenzione, tirare in ballo un’auto del genere parlando di berline quattro porte non è un’eresia quando c’è di mezzo la Omega Lotus: perché, una velocità massima di 283 km/h e uno 0-100 in 5,2 secondi erano numeri da fantascienza nel 1989 e sarebbero rimasti tali per anni.

Siano lodati i turbo. Per ottenere tali prestazioni gli ingegneri della Opel si erano rivolti a quelli della Lotus (al tempo inclusa a sua volta nella galassia General Motors) che, partendo da un’ottima base – il 3.0 sei cilindri 24V della Omega erogava 204 solidi CV – erano intervenuti aumentando la cilindrata a 3.6, quindi mettendo le mani un po’ ovunque, da pistoni e bielle Mahle, agli alberi a camme specifici. Pure il basamento era stato rinforzato, anche per sopportare la presenza di due turbocompressori Garrett T25 a 0,7 bar, raffreddati da un doppio intercooler aria-acqua. C’erano pure due radiatori aggiuntivi per il raffreddamento dell’olio e il cambio era un manuale a 6 marce ZF, derivato da quello della Corvette ZR-1, con i primi cinque rapporti ravvicinati.

Niente elettronica, quindi occhio. A questo punto era richiesto un certo coraggio e una certa sensibilità sul piede destro per scaricare a terra i 377 CV e i 557 Nm di coppia sulle ruote posteriori senza alcun ausilio elettronico e con un semplice differenziale autobloccante al 40% a limitare il pattinamento in accelerazione e migliorare la motricità in uscita di curva. Fortunatamente, era presente un impianto frenante (con Abs) realizzato dalla AP Racing con dischi autoventilanti da 320 mm e al telaio, con passo allungato di 18 mm, era stato abbinato un comparto sospensioni ampiamente rivisto con, al retrotreno, l’aggiunta degli ammortizzatori auto-livellanti della Senator abbinati allo schema a bracci obliqui.

Rara, inimitabile. A tanta brutalità (ma anche raffinatezza) meccanica faceva da contraltare un abitacolo che alla razionalità teutonica, abbinava il gusto inglese a base di pannelli di radica e sedili sportivi in pelle Connolly, oltre alle dotazioni abituali delle ammiraglie dell’epoca. Impossibile poi non riconoscere esternamente una Omega Lotus, a partire dall’enorme paraurti anteriore con le vistose prese d’aria, presenti anche sul cofano. Non mancavano minigonne e badge Lotus.

Rara e costosa. Disponibile in un solo colore, l’Imperial Green, è stata realizzata in soli 950 esemplari fino al 1994 dei quali 70 riservati all’Italia: con un prezzo di 116 milioni di lire (25 milioni di lire in più di una Thema 8.32) era decisamente un’auto per pochi e lo è anche oggi. Ci vogliono almeno 60.000 euro per portarsene a casa una in ottimo stato, a patto di trovarla.

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