È senza ombra di dubbio la Renault più “testosteronica” mai realizzata. La 5 Turbo, infatti, è un inno agli eccessi degli anni 80 e paradigma assoluto delle “piccole bombe”. Anche se, in questo caso, si potrebbe parlare di deflagrazione nucleare, visto il suo carattere a dir poco nervoso della sportiva francese.
Una “5” solo sulla carta. Siamo nel 1978: al Salone di Parigi viene esposto il prototipo di quella che, nel giro di due anni, verrà commercializzata con il nome di Renault 5 Turbo (o R5 Turbo, per chi va di fretta come lei), per rispondere all’esigenza della Casa francese di avere una sportiva in grado di competere nei rally, eguagliando i fasti della Alpine A110. In più, bisogna mettere a frutto l’enorme esperienza accumulata col turbo in F.1. Per realizzare ciò, si decide di sfruttare il telaio – opportunamente modificato, ovvero rinforzato e allungato, anche nel passo – della popolare “piccola” di casa, finendo per stravolgere il tutto e creare qualcosa di decisamente unico.
Trazione posteriore e turbo: ricetta piccante. Il motore è lo stesso utilizzato sulla Renault 5 Alpine Turbo, ovvero il 4 cilindri da 1.397 cm³: ma qui, oltre a una turbina Garrett T3, è presente anche un intercooler, mentre i carburatori vengono sostituiti dall’iniezione elettronica Bosch K-Jetronic. Il cambiamento più radicale però riguarda il suo alloggiamento, ovvero in posizione centrale: il divanetto viene eliminato e la carrozzeria viene clamorosamente allargata, a partire dalle portiere. E questo sia per aumentare lo spazio a disposizione per l’impiantistica, sia soprattutto per approntare prese d’aria chiamate a raffreddare i bollenti spiriti del motore. Perché, la R5 Turbo non scherza affatto: i cavalli, con la turbina che soffia a 0,86 bar, schizzano a 160 e lo 0-100 km/h viene bruciato in 6,5 secondi, con le gomme posteriori pronte a pattinare praticamente in qualsiasi momento, fino a superare i 200 km/h di velocità massima.
Esterni muscolosi e interni futuristici. Marcello Gandini crea dunque un piccolo “mostro”, che conquista subito il cuore degli appassionati, esaltati dalle imprese funamboliche sulle piste da rally con alla guida Jean Ragnotti, l’unico davvero in grado di domarlo. I parafanghi allargati, che sono l’elemento più caratterizzante degli esterni, sono una scelta obbligata per adottare pneumatici maggiorati (in coda ci sono dei corposi 220/55R365), nel tentativo – piuttosto vano, peraltro – di contenere la brutalità dell’erogazione. Gli interni sono altrettanto riconoscibili, in quanto esclusivi del modello: sembrano presi da una concept car, con un look futuristico che coinvolge cruscotto (dieci strumenti circolari annegati in un “muro” di plastica), volante a due razze asimmetriche e sedili super contenitivi.
Pochi esemplari e valutazioni da supercar. Due le colorazioni disponibili: blu con interni rossi, o rossa con interni blu, per una vera “instant classic”, prodotta in pochi esemplari: 802 il primo anno e a scalare, 536 e 352 nei due successivi, quando arriva la “Turbo 2”. La quale, per abbassare i costi, non avrà più portiere, padiglione e portellone di alluminio e adotterà gli interni – più banali – della Alpine Turbo. Essere un vero e proprio mito tra le auto sportive di tutti i tempi ha un costo: molto salato, complice i pochi esemplari stradali sopravvissuti alla trasformazione uso corsa. Per aggiudicarsene una, si parla infatti di oltre 100 mila euro.
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