Non si può parlare di un’auto sportiva anni 80-90 come la Honda CRX senza tirare in ballo il cuore motoristico, la cui sigla del motore, VTEC, è un mantra, e non solo per i fan della Casa giapponese. Un propulsore rivoluzionario, capace, grazie ad alberi a camme con profili a selezione elettronica, di trasformarsi da Dottor Jekyll in Mister Hyde, con due caratteri ben distinti a seconda dei regimi di rotazione raggiunti. Nella pratica, motori con potenza specifica di 100 CV/litro e caratterizzati da un allungo di stampo motociclistico, con un regime di rotazione massimo a quota 8.000 giri. Musica vera.
Prima con l’1.5. La CRX di prima generazione (1983-87) aveva un 1.488 cm³ con singolo albero a camme e 12 valvole da 100 CV a 5.800 giri. Grazie però a una massa contenuta in soli 825 kg (il segreto era l’uso di pannelli di plastica per il 40% del corpo vettura) poteva arrivare fino a 190 km/h.
Arriva l’1.6. Dalla seconda serie (1988-92), che cominciò a vedersi anche sul mercato italiano, la musica cambiò e la versione VTEC spremeva dal nuovo 4 cilindri di 1.595 cm³, 16 valvole, montato in posizione anteriore trasversale, ben 150 CV, sufficienti, nonostante il peso lievitato oltre la tonnellata, a toccare i 215 km/h e bruciare lo 0-100 in 7,6 secondi. Un risultato impensabile per quella che restava pur sempre una piccola sportiva a trazione anteriore. La parentela con la Civic berlina di quarta generazione era evidente: del resto la coupé ne condivideva l’impostazione meccanica e telaistica, ma anche a livello stilistico ne riprendeva le linee squadrate, soprattutto in coda.
Ispirata al Biscione. E questo anche se l’ispirazione originaria, come rivelato dai designer giapponesi, era stata l’Alfa Romeo GT Junior Zagato. La CRX, in configurazione “2+2”, si rivelava quindi una mini-coupé dalle prestazioni esaltanti e dall’handling appagante – le sospensioni erano diventate tutte e quattro indipendenti –, con interni semplici, ma ben caratterizzati. Su tutti, da segnalare gli inconfondibili sedili rivestiti di pelle nera con cuciture rosse e la scritta “CRX VTEC” ricamata. Senza contare l’aria condizionata e il tetto apribile elettrico di serie sulle versioni top, quasi ad anticipare quello che sarebbe accaduto con la terza generazione.
Terza… targa. Sbarcata nel 1992 – e mai digerita dai puristi – la CRX, che assunse la denominazione “Del Sol”, tradì in parte la sua natura sportiva, adottando una configurazione “targa”, ovvero con il tetto ripiegabile manualmente o elettricamente in un apposito vano ricavato nello spessore del cofano posteriore. Una svolta in una direzione più mondana, evocata dal nome spagnolo che sembra suggerire uno “struscio” sul lungomare e che, anche a causa di un look poco aggressivo, con linee arrotondate, non riscosse grande successo in Europa.
In produzione fino al 1998. Va anche detto che nella seconda metà degli anni 90 la Honda sfornò mostri sacri, come una ulteriore serie della Integra e la mitica S2000. Così, la “Del Sol” finì fuori dai radar, uscendo di produzione nel 1998. Peccato, perché la sostanza c’è ancora, così come i motori, declinati, in Italia negli allestimenti ESi con motore 1.6 da 125 CV e VTi col 1.6 VTEC da 160 CV, che permetteva prestazioni allineate a quelle della precedente versione, nonostante l’aumento di peso e dimensioni.