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Piccole bombe giapponesi: Suzuki Alto RS/R Works

Le Kei Car si amano o si odiano. Questo sentimento si basa sul grado di infatuazione che si ha (o meno) per la scena automobilistica giapponese, oppure – ma spesso le due cose coincidono – con le ore passate a giocare a Gran Turismo sulla Playstation. Intere generazioni di fans del “JDM” (Japanese domestic market) si sono infatti formate attraverso la Sunday Cup, iniziando proprio con le vetture più compatte, che, in Giappone, sono davvero piccole.

Taglia XXS. La Suzuki Alto, infatti, misura 3 metri e 20 centimetri e pesa solamente 630 kg. La seconda generazione, commercializzata in Giappone dal 1984 al 1994, era arrivata in realtà anche in Italia, sotto la denominazione di Maruti Suzuki 800, ovvero nella sua incarnazione prodotta in India dalla consociata della Casa nipponica. Che aveva quattro porte e un motore tre cilindri da 800 cm³ e 35 CV.

Sempre più in Alto. Ma la Alto super pepata, che venne presentata per la prima volta nel 1987, era decisamente un’altra cosa, pur se non poteva essere definita una “piccola bomba”, secondo i canoni delle prestazioni pure. Ma, come il calabrone non sa di poter volare, anche la Alto RS/R Works non aveva alcun timore di sfoderare un frontale iper-aggressivo, con i fendinebbia rotondi che, su una larghezza del corpo vettura di soli 1,4 metri, sembrano immensi, alla presa d’aria sul cofano, un elemento che si ritrovava su tutte le piccole turbo nipponiche anni 80. C’erano anche minigonne rasoterra, paraurti posteriore avvolgente e spoiler sul tetto.

Regimi elevatissimi. Tra doppio albero a camme, turbocompressore e intercooler, la Alto RS/R Works arrivava a 64 cavalli, estratti sempre da un tre cilindri (ma da 543 cm³), che la resero la minicar più potente dell’epoca in Giappone. Tanto che, si dice, sia stata proprio lei il motivo per il quale nel 1990 venne fissato un limite massimo di potenza per tutte le Kei Car. Non a caso proprio 64 cavalli. Gli interni, neri e rosa shocking, con borchie sui sedili profilatissimi, erano al limite del buongusto, ma il sorriso era immediato non appena ci si accorgeva che la linea rossa del contagiri iniziava a 9.500 e terminava a 12.000, a dimostrazione che questa vetturetta poteva scaldare gli animi. Impossibile recuperare dati ufficiali, ma sembra che da 0 a 100 la Alto cattiva impiegasse circa 8,5 secondi, un tempo per nulla disprezzabile. Tre erano le versioni sportive: quella base, la RS/S, a trazione anteriore, così come la RS/X, meglio equipaggiata, e, infine, la nostra “eroina”, la RS/R, che aveva un sistema di trazione integrale con giunto viscoso e pesava 40 kg in più.

Si passa ai “660”. La terza generazione, lanciata nel 1990, acquisì un look più arrotondato (è forse la più riuscita) e sotto al cofano apparve un nuovissimo tre cilindri in linea DOHC da 658 cm³ con teste e blocco di alluminio, da 64 CV e sempre con la possibilità di scegliere tra un cambio manuale a 5 rapporti o un automatico a 3 o 4 rapporti. Servosterzo (una rarità per l’epoca) e quattro freni a disco completavano una dotazione che prevedeva cerchi cresciuti a 14 pollici con pneumatici 155/55. Se cercate qualche video su Internet della Alto RS/R, sappiate poi che ne desidererete una.

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