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Prinetti & Stucchi, dai turaccioli alle quattro ruote

Era il 1926. Sono trascorsi 91 anni dalla chiusura della Prinetti Stucchi & C., un’azienda italiana che in tempi lontani aveva saputo “diversificare”, interessandosi di motori. Fondata a Milano nel 1874 da Giulio Prinetti e Augusto Stucchi, inizialmente l’impresa è un’officina meccanica che produce turaccioli di sughero e macchine da cucito (l’attività in questo settore viene rilevata da Angelo Salmoiraghi).

Successivamente, nel 1892, la fabbrica si avventura nel nuovo mondo delle biciclette, e infine – nel 1898 – in quello dei veicoli a motore. Il merito è di un impiegato, Ettore Bugatti, che sviluppa il  triciclo Tipo 1, con motore monocilindrico De Dion e telaio Rochet-Schneider.

Poco dopo vengono progettati e creati i quadricicli, in particolare il modello “Quadri”, azionato da un motore monocilindrico raffreddato ad aria e caratteristico per il piccolo rimorchio: un posticino che, secondo la réclame pubblicitaria, era da riservare a una “graziosa accompagnatrice”.

Nel 1899 con la vettura Prinetti Stucchi,  caratterizzata da due motori monocilindrici accoppiati, Bugatti vince la corsa “Brescia-Verona-Brescia” alla velocità media – allora notevole – di 40 km all’ora. Nel 1901, dopo la nomina di Giulio Prinetti a ministro degli Esteri, l’azienda modifica la ragione sociale in quella di “Stucchi & C.”. La produzione va avanti: viene completata la prima motocicletta, una monocilindrica a quattro tempi.

L’azienda è ricordata nel racconto dello scrittore Giovanni Guareschi intitolato “La lotteria”, in cui i due protagonisti, don Camillo e Peppone, discutono di una bicicletta Stucchi.

Alla fama dell’azienda contribuisce senz’altro la vittoria del Giro d’Italia con Girardengo nel 1919. Durante la guerra e fino al 1926, anno della chiusura e della cessione alla OM, l’azienda continua a produrre modelli di motociclette con motori monocilindrici e bicilindrici a V. Le vetture prodotte da questa piccola fabbrica sono una via di mezzo tra le carrozze di una volta e le automobili che sarebbero nate negli anni successivi: costruite interamente a mano, con molto legno, una certa quantità di metallo e tanto lavoro umano. Era ancora artigianato, l’industria automobilistica moderna doveva ancora nascere. Era l’inizio, solo l’inizio, di una lunga storia.

Elisa Latella

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