Nella prima metà degli anni 70 il design automobilistico vide la progressiva diffusione delle carrozzerie fastback, una soluzione che coniugava stile, praticità e dinamismo. In questo filone s’inserisce la Rover SD1, una delle vetture più apprezzate del segmento superiore ad adottare questa architettura.
La Rover SD1 ha sempre avuto un fascino particolare: il suo profilo veloce e sfuggente la faceva spiccare in un segmento dominato da scatolose berline tre volumi. A discostarsi dal conformismo delle vetture di prestigio non fu l’unica, con lei anche la Lancia Gamma e la Citroen CX riprendevano lo stesso concetto. Ciascuno di questi modelli reinterpretò l’idea in maniera differente e si avviò ad un destino differente. La più fortunata fu sicuramente la francese, mentre l’italiana risentì particolarmente dei difetti congeniti di progettazione. Per l’inglese le cose andarono meglio, ma la sua carriera non fu tutta rose e fiori.
Tempi difficili. Prima di scendere nel dettaglio è bene precisare il contesto in cui nacque la Rover SD1. Negli anni 70, il settore automobilistico inglese risentì pesantemente della crisi petrolifera, l’unica salvezza e per i gruppi industriali fu quella di fondersi per condividere know-how, piattaforme e risorse. Il principale “colosso” inglese era la British Leyland, nato nel 1968 dalla fusione tra la BMC (British Motor Company) e la Leyland. Un gruppo in cui rientrava la quasi totalità dei marchi britannici. L’operazione si rivelò fallimentare innanzitutto per il mancato successo di modelli commercialmente “strategici” per il mercato interno e per l’export, determinante pure la lotta intrapresa dalla dirigenza contro i sindacati: la situazione degenerò progressivamente, esplodendo in una grave crisi che portò al crollo della qualità costruttiva dei modelli successivi al 1974. La tensione sindacale sfociò infatti in veri e propri sabotaggi e portò al declino dell’intero comparto automotive britannico. Nel 1978 la BL (British Leyland) venne quindi nazionalizzata, con tutte le problematiche del caso.
La gestazione della SD1 fu avviata accorpando diversi progetti Rover e Triumph. Per razionalizzazione la miriade di marchi che costellavano la “galassia” British Leyland, le Case automobilistiche vennero raggruppate in divisioni: Rover e Triumph (come la Jaguar, in seguito) furono inserite nella cosiddetta “Specialist Division”. Con il primo progetto, la SD1, sarebbero state rimpiazzate la Rover P6 e la Triumph 2000/2500 PI.
Uno stile innovativo. Lo sviluppo della SD1 venne seguito quasi completamente dall’equipe Rover. Nel team di progettisti c’era lo stesso David Bache, autore delle Rover P5, P6 e della leggendaria Range Rover, realizzata anche in questo caso con la supervisione Spen King, il responsabile dell’ingegneria. La linea della SD1 sancì un taglio netto col passato: la Rover era legata alle berline tradizionali, la SD1 era invece una due volumi con portellone. I fascioni paracolpi, più avvolgenti e in materiale plastico decretarono la fine dei paraurti cromati a lama. Era il punto di non ritorno verso la “modernità”. L’intero corpo vettura seguiva i più recenti principi per la sicurezza e, partendo dagli studi effettuati sulla Rover P6, la SD1 poteva contare su una scocca con sezioni a deformazione programmata e la cellula abitativa ad alta resistenza.
Omaggiava la Daytona. Davanti ad una linea così innovativa per gli standard inglesi, la dirigenza tentennò al punto da richiedere una familiare dalla linea più classica, rimasta allo stadio di prototipo. I dubbi svanirono nel momento in cui la SD1 venne acclamata dalla critica e della clientela, che non mancò di apprezzare uno stile dinamico e la grande praticità del portellone.
Il designer David Bache dichiarò di aver tratto ispirazione dalla Ferrari Daytona per definire la linea della Rover SD1. Non si può fare a meno di notare la vicinanza concettuale con la BMC 1800, disegnata dalla Pininfarina a fine anni 60: un prototipo che ispirò chiaramente la rivale diretta della Rover SD1, la Citroën CX. Nelle fasi iniziali, il progetto era stato indicato con il nome in codice RT1 (Rover Triumph 1), poi cambiato in SD1 (per Specialist Division Number 1) nel momento in cui la Rover e la Triumph furono riorganizzate nella “Specialist Division”. Per la SD1 venne realizzata una linea di montaggio dedicata nello storico impianto di Solihull, il sito delegato alla produzione dei modelli Land Rover.
La tecnica. La nuova berlina di prestigio debuttò con il noto V8 da 3,5 litri, dotato di nuove testate e valvole. Per la trasmissione si poteva scegliere tra un cambio a cinque marce (di origine Triumph) o l’automatico Borg Warner a tre marce. Con una potenza di 145 CV e un peso di oltre 1.500 chili, la SD1 raggiungeva una velocità massima di 185 km/h. Al netto delle doti velocistiche, piuttosto mediocri, la SD1 spiccava invece per l’agilità. Intanto la risposta del pubblico fu molto positiva e alla fine del 1977, la gamma si espanse verso il basso con le motorizzazioni a sei cilindri da 2,3 e 2,6 (Land Rover). Anche a livello meccanico, la SD1 condivideva diverse componenti con altri modelli del gruppo: per quanto riguarda le sospensioni, l’asse anteriore riprendeva lo schema McPherson, simile a quello della Triumph Dolomite. Al posteriore era previsto un posteriore rigido che poteva essere abbinato alle sospensioni autolivellanti.
Tra alti e bassi. Agli entusiasmi iniziali seguirono non pochi problemi, dovuti all’aggravarsi dei conflitti sociali e sindacali che minarono la qualità produttiva del modello: dalle verniciature che si rovinavano in poco tempo alle fastidiose infiltrazioni d’acqua e a malfunzionamenti elettrici di ogni tipo. Lo scenario si fece particolarmente difficile tra il 1978 e il 1979, con l’avvento del Governo Tatcher e la conseguente nazionalizzazione della British Leyland. Gli scioperi bloccarono le fabbriche e migliaia di vetture incomplete furono lasciate sui piazzali dell’impianto di Solihull per settimane.
Ritorno alle origini. Nel 1979, la gamma SD1 si arricchì della “V8S”, il nuovo modello top di gamma. La dotazione includeva finalmente gli interni in pelle, in luogo del tessuto sintetico, ritenuto da molti clienti non adeguato all’indole elegante di una Rover. La Rover SD1 V8S si distingueva esternamente per il paraurti anteriore dotato di una presa d’aria più ampia: ciò consentiva di convogliare un flusso d’aria maggiore per il funzionamento del climatizzatore e migliorare il raffreddamento del propulsore. Nel 1980, per recuperare le quote di mercato perse durante il turbolento bienni 78-79, l’allestimento della V8S si estese alle sei cilindri 2300S e 2600S, mentre la 3500 era disponibile con alimentazione ad inizione (SE). Intanto, la V8S venne indicata con il nome evocativo Vanden Plas: un richiamo alla gloriosa Carrozzeria inglese.
Il rilancio. La qualità interna migliorò sia nell’utilizzo dei materiali che nelle dotazioni. Tutti i modelli erano dotati di interruttori retroilluminati, tetto apribile e lavafari, vetri elettrici, chiusura centralizzata e l’interno in pelle. La dotazione della SD1 diventava così una delle più complete del segmento superiore. Inoltre, nel corso del 1981, la produzione si trasferì a Cowley, l’ex impianto produttivo della Triumph. A Solihull venne delegata parte della produzione Land Rover.
Secondo atto. Con la seconda serie, presentata nel 1982, la Rover SD1 si presentò in veste rinnovata a partire da un frontale dotato di paraurti e luci anteriori più avvolgenti, così come il posteriore aggiornato in diversi particolari, come il portellone con lunotto più ampio e la nuova fanaleria. Nell’abitacolo spiccava la plancia, completamente ridisegnata e, finalmente, tornavano poi i classici inserti in legno: un must per una berlina inglese di prestigio come la SD1.
Il debutto della seconda serie coincise con un ulteriore espansione della gamma, verso il basso, che vide il lancio delle motorizzazioni “2000” con motore Morris e le 2400 Turbodiesel, con motore VM: all’epoca il motore turbodiesel più veloce sul mercato. Nei primi anni 80, queste motorizzazioni decretarono un discreto successo della SD1 anche in Italia. Nei primi anni ’80, la SD1 iniziò a diventare una vettura abbastanza comune dinanzi agli indirizzi “bene” e nelle località di villeggiatura.
Quel retrogusto italiano. Il motore BL O-Series da due litri della Morris Ital equipaggiava la “Rover 2000”. Era la prima volta che un propulsore Austin-Morris della famiglia BL venne installato su una Rover. La due litri strizzava l’occhio alle flotte di auto aziendali, dove la cilindrata inferiore non era soggetta alla tassazione maggiorata. L’ampliamento della gamma SD1, rubò alcuni clienti dal bacino d’utenza della Ford Granada, la bestseller inglese del segmento Executive. Certo, la Rover 2000 non era particolarmente veloce, ma non lo era nemmeno la variante top gamma con il motore V8. Il motore da 2,4 litri Rover 2400 SD Turbo era prodotto dalla VM Motori di Cento (MO) ed erogava 90 CV. Durante la produzione della SD1 questa fu l’unica motorizzazione a gasolio a listino. L’unità, indicata come HR492 era la stessa della Range Rover Turbo D e venne scelta per l’erogazione simile a quella dei motori a benzina. British Leyland pensò di sviluppare un motore a gasolio derivato dal motore Rover V8, ma il progetto si rivelò problematico e fu cancellato nel 1983, in favore di un propulsore più collaudato come il 2,4 litri italiano.
Più grinta. Il prestigio della Rover SD1 e, soprattutto, la necessità di un modello di serie per poter partecipare alle competizioni portò alla nascita della 3500 Vitesse. Il nuovo modello di punta era equipaggiato con il V8 alimentato ad iniezione capace di erogare 190 CV. La Vitesse diveniva così la cinque porte più veloce disponibile sul mercato britannico. Alcuni giornalisti la assimilarono persino ad un’alternativa a buon mercato dell’Aston Martin V8. Dal 1983, la Rover SD1 Vitesse venne offerta con il cambio automatico. Prima del lancio della Vitesse, l’idea di una versione ad alte prestazioni della berlina fastback stuzzicò diversi clienti: per questo motivo la Janspeed realizzò dei kit di potenziamento per la sei cilindri 2600S (turbo) e la V8 3500S (biturbo).
Nel 1984, il motore della Vitesse equipaggiò la lussuosa SD1 Vanden Plas EFI con trasmissione automatica. Dalla SD1 Vitesse derivò il vero e proprio banco di prova per il modello da competizione: l’edizione speciale “Twin Plenum”, con impianto d’iniezione a doppia farfalla. Quest’ultima è stata prodotta in soli 200 esemplari, necessari per l’omologazione sportiva. Inutile dire che oggi questo modello sia praticamente introvabile, se non nel Regno Unito. Sulle vetture di Gruppo A, il motore Rover V8 da 3,5 erogava invece fino a 340 CV.
In divisa. Le berline V8 furono molto apprezzate per i servizi di pattugliamento delle forze di polizia. In molti telefilm d’antan non è raro incrociare le SD1 con la livrea “Jam Sandwich” (bianca con la banda rossa, come un sandwich alla marmellata, appunto). Alcune delle auto in dotazione alla polizia erano in versione Vitesse e si dice che una Twin Plenum venne impiegata dagli agenti di sicurezza della Famiglia Reale inglese.
L’attività sportiva. La carriera agonistica della SD1 vide i modelli Gruppo A impegnati nel Campionato Europeo Turismo, vinto per due volte sotto la gestione di un “tale” Tom Walkinshaw, fondatore della TWR. Indimenticabili i duelli tra le SD1 in livrea verde blu British Leyland, con le Volvo e le BMW nei campionati ‘83 e ‘84. Tra i primi successi ricordiamo la vittoria al RAC Tourist Trophy 1983 ad opera di Steve Soper e René Metge e il British Saloon Car Championship del 1984 Andy Rouse. A metà anni 80, nonostante i quasi 10 anni sulle spalle, la Rover SD1 ottenne i suoi risultati agonistici migliori. Famosa la vittoria di classe alla Bathurst 1000 del 1984 firmata da Jeff Allam e Armin Hahne con la Rover Vitesse del Team TWR. L’anno seguente, lo stesso Tom Walkinshaw e Win Percy vinsero sei prove: Monza, Vallelunga, Donington, Silverstone, Nogaro e Jarama del Campionato Europeo Turismo. L’anno successivo le Vitesse TWR conquistarono altri cinque round del Campionato Tuismo a Monza, Donington, Anderstorp, Zeltweg e Silverstone, mentre Kurt Thiim trionfava nel campionato DTM 1986.
La SD1 venne impiegata anche nei rally: tra il 1984 e il 1985 partecipò al British Rally Championship, al volante il mitico Tony Pond. Il pilota si aggiudicò il Gruppo A del Campionato Inglese Rally 1985, ma alla fine della stagione, la mostruosa MG Metro 6R4 del Gruppo B sostituì la SD1.
Passaggio di consegne. Non ci furono modifiche di sorta fino al termine della produzione, nel luglio 1986. La SD1 cedette il testimone alla nuova grande berlina Rover indicata come “Serie 800”, frutto della joint venture tra la Austin Rover (British Leyland) e la Honda. Il progetto, avviato nel 1981, venne indicato come “Project XX” e costituì la base comune per la Rover 800 e la Honda Legend, la grande berlina della Casa giapponese.
Tra il 1975 e il 1986, la produzione totale della Rover SD1 si attestò sulle 300.000 unità. La Rover SD1 si configurò così come l’ultimo modello progettato interamente dalla storica Casa inglese, nonché l’ultima berlina Rover a trazione posteriore. La sua uscita di scena segnò la fine di un’epoca, quella del motorismo inglese più autentico. La Rover SD1 è stata uno spartiacque, un simbolo di quella gloriosa industria britannica divisa tra gli anacronismi e la voglia di modernità.