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Toyota Corolla GTi 16, l’alternativa giapponese

Alla soglia degli anni duemila le auto giapponesi sono sempre più vicine al Vecchio Continente. Le barriere doganali si sono progressivamente allentate, anche in Italia. Così la Toyota, produttore leader nel suo Paese, procede con la sua offensiva di mercato. In quel periodo la cronistoria del marchio si lega, indissolubilmente, alla Corolla GTi 16

Il suo aspetto punta sulla razionalità. La carrozzeria ha un aspetto grintoso, messo in evidenza dai grossi gruppi ottici a sviluppo orizzontale e dalle grembialature inferiori che corrono lungo tutta la fiancata. Al posteriore, invece, il portellone incorpora un morigerato spoiler, raccordato in maniera ottimale col tetto. Nel complesso, la linea a due volumi tipica di molte sportive – giapponesi e non – risulta gradevole e funzionale. A bordo c’è spazio per quattro persone, abbondante davanti, accettabile dietro. La qualità complessiva degli assemblaggi e delle varie componenti risulta soddisfacente. La plancia, dalla forma tondeggiante, ha un’impostazione tipicamente giapponese. Il cruscotto si sviluppa molto in larghezza e contiene sette quadranti circolari, con grafica chiara e ben leggibile. La dotazione di serie, prendendo in considerazione la categoria di appartenenza, può ritenersi abbastanza completa. Infine, il bagagliaio è adatto alle necessità di una coppia, con una capacità accettabile per una vettura sportiveggiante.

Tecnica raffinata. I giapponesi hanno sviluppato le testate multivalvole con largo anticipo – rispetto agli europei – e sono in grado di proporle su un considerevole numero di modelli. Uno di questi è la Corolla GTi 16 della Toyota, equipaggiata con un quattro cilindri in linea di 1.6 litri (125 cv) disposto trasversalmente e alimentato a iniezione con controllo elettronico. La testata è in lega leggera, il basamento in ghisa. Lo schema della distribuzione è quello classico di una testata a 16 valvole, con un albero che comanda quelle di aspirazione (due per cilindro) e l’altro quelle di scarico. Il tutto è mosso da una cinghia dentata che prende il movimento dall’albero motore. Al fianco del “millesei” la trazione anteriore e un cambio manuale a cinque rapporti. Classica la soluzione adottata per le sospensioni, a ruote indipendenti secondo lo schema MacPherson. L’impianto frenante ha dischi sulle quattro ruote, con quelli anteriori autoventilati.

La prova di Quattroruote. Il giudizio della “nostra” rivista è positivo. Il motore a sedici valvole viene definito come brioso e pronto, anche ai bassi regimi, e capace di esprimere il meglio di sé oltre i 4500-5000 giri/min. L’accelerazione passa da 0 a 100 km/h in 9,6 secondi (la Casa dichiara 8,8 secondi) e negli scatti brevi risulta un po’ più lenta di alcune concorrenti. In compenso si arresta in poco meno di 47 metri a 100 km/h, e in circa 91 metri a 140. Una prestazione corretta anche se alcune concorrenti hanno bisogno di meno spazio. Lo sforzo al pedale è ben modulabile e la vettura mantiene discretamente l’allineamento, anche nelle frenate d’emergenza. Peccato solo che non sia previsto l’ABS. La leva del cambio ha un’escursione un po’ lunga ma innesti precisi, mentre lo sterzo ha buone doti di progressività. La tenuta di strada, soddisfacente sull’asciutto, mostra qualche limite su fondi irregolari, sul bagnato e nella guida più brillante. Ha una moderata tendenza al sottosterzo, ma in curva basta alleggerire la pressione sull’acceleratore per farla rientrare, a volte un po’ bruscamente, sulla traiettoria voluta.

Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate di questa vettura nipponica? L’avreste scelta oppure vi sareste orientai su un modello europeo? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete inviarci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.

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