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UNA CAREZZA AL VENTO

Il modello in scala del prototipo fu provato nella galleria del Politecnico di Torino, dove si sperimentava il Cx degli aerei. Con risultati sorprendenti. Ha corso una Mille Miglia, ha avuto molti padroni e ha subito l’amputazione delle pinne. Oggi partecipa a importanti gare storiche.


Più che correre sembra che voli, anzi pare proprio un aereo senza le ali. Del resto quando Giovanni Savonuzzi, ingegnere torinese di origine ferrarese, disegna la Cisitalia “202 CMM” (cioè coupé Mille Miglia) ha in mente gli aerei da caccia degli Anni 40. Nel 1946 Savonuzzi costruisce un modellino lungo una sessantina di centimetri, lo cosparge di olio bruciato per segnare i flussi aerodinamici e lo porta alla galleria del vento del Politecnico di Torino.

È una cosa nuova, davvero insolita, che per le auto si affrontino problemi da mondo aeronautico. Ma Savonuzzi è testardo. E quel modellino con le pinne è talmente perfetto che l’auto ne risulta la fedelissima copia. Quarant’anni dopo, in galleria del vento, la “202 CMM” rivela un Cx di 0,29, un dato eccezionale per un’auto dell’epoca.

Il carrozziere Vignale, allora, si limita a seguire alla lettera le indicazioni di Savonuzzi, che decide anche il colore del prototipo: un bel rosso vivo, in onore alla freccia rossa della Mille Miglia. Ma la partecipazione non è fortunata: Piero Taruffi si ritira dalle parti di Cattolica, quando è quarto assoluto. Secondo tentativo l’anno dopo con una vettura di colore argento, che non ha prese d’aria sul tetto (modifica che la rende ancor più aerodinamica), ha griglie laterali di sfiato non più ovali ma rettangolari e un motore portato a 1200 cm3. E la prima Cisitalia “202 CMM”? Passa a un pilota romano, che la guida in alcune gare minori e poi la cedere a un collezionista americano.

La rossa Cisitalia “202 CMM” torna in Italia sul finire degli anni Settanta; viene restaurata a Torino e ceduta a un appassionato venezuelano. Ora è di un collezionista giapponese, che la usa in manifestazioni rievocative. Viaggiare con questa berlinetta è un’avventura. Savonuzzi non si preoccupò del confort: dentro fa un caldo terribile, mitigato solo da due feritoie con sportellino apribili sul tetto e dai finestrini scorrevoli.

Il rumore è fortissimo perché, ovviamente, nel 1946 non viene preso nessun accorgimento acustico. Poi vi sono le vibrazioni perché, per risparmiare sul peso, non viene montata nessuna guarnizione che non sia assolutamente necessaria. In compenso, la macchina ha una massa di soli 680 kg, cinquanta in meno della coetanea Cisitalia “Spyder Nuvolari”, risultato raggiunto grazie soprattutto alla carrozzeria di alluminio e al telaio in tubi di derivazione aeronautica (durante la guerra le maestranze Cisitalia avevano lavorato alla costruzione di aerei da combattimento).

Scomodità, calore, sofferenza, ma un fascino inappagabile. “Ricordo l’emozione di Savonuzzi quando a Torino rivide la sua vettura in restauro”, racconta Nino Balestra, che quel giorno si trova là in compagnia di Carlo Dusio, figlio di Piero, fondatore della Cisitalia: “La vettura era completa, il motore originale era lì in terra, da revisionare. Il danno maggiore era stato fatto alle pinne, la parte più caratteristica della vettura, tagliate chissà quando e chissà perché. Savonuzzi osservò i monconi in silenzio, poi prese un pezzo di cartone e ridisegnò le pinne a mano libera, in modo che il battilastra potesse ricostruirle fedelmente”.

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Categorie: Auto
Tags: cisitalia
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