La capostipite delle emblematiche wagon svedesi nacque come variante familiare della berlina 140. Non si era mai vista in Europa un’auto così lunga e capace, mentre in Svezia contribuì a fare delle Volvo uno status symbol (con la villa e il cane).
Una specie di paradiso in terra: così, vista da sud, appariva la Svezia alla fine degli anni Sessanta. C’entrava il package capelli biondi-occhi azzurri della bellezza nordica che faceva girare la testa ai maschi latini, ma c’era molto di più. Una democrazia consolidata, la coscienza ambientale che ha reso la Svezia il Paese con il record mondiale di verde pubblico per abitante; il progresso sociale, il welfare e la neutralità internazionale erano i cardini di un modello che garantiva benessere diffuso. Il sogno della stabilità piccolo-borghese alla portata di molti era simbolizzato dalle tre V: Volvo, villa, vovve (cane). Un format spesso riprodotto nelle immagini promozionali della 145, la prima delle emblematiche station wagon che avrebbero aperto il Costruttore svedese al mercato internazionale e sarebbero diventate patrimonio industriale e culturale svedese non meno di Ikea e degli Abba.
The Winner Takes It All. Fatte le dovute proporzioni, il paragone con il celebre quartetto pop regge. Se gli Abba hanno venduto 400 milioni di dischi in tutto il mondo, in mezzo secolo dallo stabilimento di Torslanda sono uscite più di sei milioni e ottocentomila Volvo. Tre anni dopo la sua inaugurazione nel 1964, a Torslanda vide la luce anche la 145. Nato come variante familiare della serie 140, questo modello sarebbe diventato il capostipite delle familiari svedesi che avrebbero conquistato il mondo. La 145 non era ancora così “boxy”, scatolosa, o “brick”, mattone, come le serie 240 e successive. Comunque ne anticipava il solido concetto di wagon cinque porte, con la classica sezione posteriore a portellone verticale che sarebbe diventato un marchio di fabbrica. Comoda, sicura ed estremamente spaziosa per gli standard europei dell’epoca. Lunga 4.640 mm, con interasse di 2.600. Il vano di carico superava i due metri cubi, con pavimento completamente piatto: roba da caricarci tranquillamente un letto a castello da montare a casa. Il motore 4 cilindri da 1.778 cc era un buon inizio per viaggiare con la famiglia, i bagagli e il famoso vovve, accoppiato alla trasmissione manuale 4 marce con overdrive elettrico, oppure automatica a 3 rapporti. Nei primi tempi, gli aggiornamenti erano gli stessi introdotti sulla berlina 140 a due e quattro porte. Già nel 1968 il propulsore delle versioni standard e DL aumentò a 1.986 cc per raggiungere i 100 cv tondi tondi, ma fu nel 1970 che arrivarono le prime modifiche sostanziali. Dal punto di vista del design, il terzo finestrino laterale lasciò il posto al più filante e pratico vetro unico posteriore. Il comfort e la sicurezza aumentarono con i freni a disco sulle quattro ruote, albero di sterzo telescopico, scocca con aree di assorbimento degli urti anteriore e posteriore, poggiatesta e tergilunotto tutti di serie.
Grandi manovre per gli USA. La gamma 145 fu riorganizzata nel 1971. La versione standard prese la lettera L conservando il motore e il design dell’anno precedente, mentre la DL acquisì il motore 2 litri. La top di gamma era denominata GL, con motore sempre 2 litri ma a iniezione da 124 cv e l’allestimento di rappresentanza: paraurti maggiorati con profili in gomma, mascherina nera opaca e interni in pelle. Restava invariata la Express, praticamente una versione base con il tetto più alto per aumentare la capacità di carico. Spesso utilizzata come ambulanza o taxi, la Express sparì dai listini già l’anno successivo. Già, perché la gamma 145 era periodicamente aggiornata. Le novità del ’72 furono di forma e sostanza. Sotto il cofano fu montato il nuovo 4 cilindri 2 litri (1.986 cc) con albero a camme in testa. Sulla L a carburatore singolo erogava 88 cv, che salivano a 105 sulla DL in versione a mono o bi-carburatore e a 126 sulla GL. Se nel ’72 gli interni furono appena ritoccati (cruscotto ridisegnato, leva del cambio spostata, nuove maniglie delle porte), il 1973 portò il restyling che introdusse un’ulteriore nuova mascherina frontale e le frecce spostate a lato dei fari. La caratteristica coda verticale ricevette nuovi gruppi ottici rettangolari e più ampi, gli interni una nuova plancia. La sicurezza venne migliorata dall’adozione delle barre antintrusione nelle portiere e, nel ’74, con i nuovi paraurti ad assorbimento d’urto, essenziali per “sfondare” il mercato americano. Un’impresa che sarebbe pienamente riuscita con la successiva serie 240, anche se non è il caso di sottostimare la 145. I suoi 268.317 esemplari costruiti nelle diverse varianti costituiscono un quinto della produzione complessiva della serie 240, la prima “million seller” Volvo.