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35 anni fa l’addio a Mr. Lotus

Il 16 dicembre 1982, a soli 54 anni, moriva Colin Chapman. Il suo contributo allo sviluppo dell’automobilismo sportivo, nel secondo dopoguerra, è stato incommensurabile. Negli anni 60 e 70 le sue vetture da Gran Premio hanno infiammato il cuore degli appassionati, collezionando successi sui circuiti di tutto il mondo. E la sua Lotus, ancora oggi, resta un emblema indiscusso del successo britannico nel circus della Formula 1.

“Geniale nelle sue intuizioni d’avanguardia”. Così lo descrisse Enzo Ferrari  nella prefazione del libro “Colin Chapman, l’uomo e le sue auto”, scritto nel 1986 dal giornalista e amico del costruttore inglese Gérard Crombac. Erano amici, a modo loro, Chapman e il “Drake”. Si intendevano. Tutti e due furono uomini dalla personalità complessa, rispettati e ammirati. Ma anche angosciosamente soli nel gestire il fardello del successo, scaturito per entrambi da una passione viscerale per le automobili da corsa.

Anthony Colin Bruce Chapman nacque a Richmond, in Inghilterra, il 19 maggio del 1928, da una famiglia della media borghesia. Il padre di Colin, Stanley, gestiva i bar di alcuni locali notturni nei pressi del Railway Hotel, albergo londinese dove la famiglia Chapman si trasferì poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. Quando fu tempo di iscriversi all’università, Colin scelse ingegneria civile. Che non avrebbe mai progettato ponti e dighe lo capì a vent’anni quando, ancora studente, si cimentò nella costruzione della sua prima automobile. Si trattava di una spider in legno e lega leggera, assemblata sul telaio di una Austin “Seven”: nasceva così la “Mark I”. Terminata l’elaborazione, nel 1948 l’auto venne regolarmente immatricolata e impiegata in diverse gare di trial, all’epoca molto popolari in Inghilterra. Per Chapman, che nel frattempo si era arruolato nella Royal Air Force, la notorietà in questo genere di competizioni arrivò l’anno seguente: la sua “Mark II”, con il motore di derivazione Ford “10” e le sospensioni anteriori a ruote indipendenti, vinse la bellezza di 21 gare.

Il 1° gennaio del 1952 fondò la Lotus Engineering Co. Perché chiamare una scuderia di auto da corsa con il nome di un fiore? Pare che Chapman, affettuosamente, chiamasse così la fidanzata Hazel, in seguito divenuta sua moglie. Dopo la preparazione della “Mark IV”, ancora per le corse di trial, Colin iniziò a pensare alla realizzazione di una piccola serie di auto sportive a elevate prestazioni: nacque il prototipo “Mark VI”, considerato ancora oggi la pietra miliare nella storia della marca, nonché la prima vera Lotus. La produzione di “Mark VI” tra il 1953 e il 1955 raggiunse i 110 esemplari; l’attività industriale, tuttavia, stentava ancora a decollare. Nel frattempo il Racing Team Lotus, nato nel 1954, iniziò a conquistare le prime vittorie nella categoria Sport. Nel 1955, con la prima apparizione alla 24 ore di Le Mans, l’azienda era definitivamente uscita dal suo guscio. Il ’57 fu l’anno della Lotus “12”, prima monoposto di Formula 2 della Casa.

Il 18 maggio dell’anno seguente la scuderia di Chapman debuttò in Formula 1, al Gran Premio di Monaco del 1958: Graham Hill fu costretto al ritiro, mentre il compagno Cliff Allison concluse la gara in sesta posizione. Due anni più tardi, sempre sul tracciato monegasco, Stirling Moss regalò alla Lotus la prima vittoria iridata con la “18”, prima monoposto di Chapman a motore posteriore. L’eco dei successi sportivi, intanto, diede una spinta significativa alla vendita delle auto stradali. Nella fabbricazione delle granturismo, una menzione particolare spetta senz’altro alla “Elan”: tra il 1962 e il 1973 dagli stabilimenti Lotus ne uscirono ben 12.224 unità.

Il primo pilota Lotus a vincere il Campionato del mondo di Formula 1 fu Jim Clark, campione nel 1963 e nel 1965. Il pilota scozzese, legato a Chapman da una sincera e profonda amicizia, perse la vita appena tre anni più tardi, il 7 aprile del 1968 a Hockenheim, al volante di una Formula 2. A questo tragico evento, seguirono gli incidenti mortali di  Jochen Rindt (durante le prove del Gran Premio d’Italia del 1970) e di Ronnie Peterson (nel 1978, sempre a Monza). Il dolore per la morte dei suoi piloti tormentò Chapman per tutta la vita, rendendo i suoi successi delle vere e proprie “gioie terribili” – come quelle narrate da Enzo Ferrari nella sua prima autobiografia. Additato dai suoi detrattori come il principale responsabile degli incidenti occorsi ai suoi piloti, per via delle sue monoposto giudicate troppo leggere e pericolose, trascorse gli ultimi anni in solitudine, manifestando un disinteresse sempre più profondo per l’industria in favore delle corse, unica vera passione della sua vita.

Morì all’improvviso, d’infarto, la mattina del 16 dicembre 1982, all’età di 54 anni. Una fine prematura che lasciò attoniti appassionati e addetti ai lavori dell’automobilismo internazionale. Nei suoi 25 anni in Formula 1, la Lotus vinse 72 Gran Premi e ottenne 88 pole position, oltre a 63 giri veloci. Risultati che le valsero sette titoli mondiali per Costruttori e sei per piloti.

Alberto Amedeo Isidoro

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Categorie: AutoNewsPersonaggi
Tags: Lotus
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