Settant’anni fa moriva Alberto Ascari. Uno dei piloti italiani più forti di tutti i tempi, ultimo campione del Mondo di F.1 di casa nostra (1952 e ’53), classe 1918, usciva di scena in modo tragico e anonimo, lontano dai riflettori. L’incidente, infatti, avvenne durante un test privato che non si sarebbe mai dovuto svolgere, all’autodromo di Monza, a bordo di una Ferrari Sport – lui, Alberto, pilota Lancia: uno scambio impossibile, nell’era moderna – messagli a disposizione dall’amico Eugenio Castellotti. Poco dopo le ore 13 di giovedì 26 maggio 1955 l’Italia in ripresa degli anni 50 perdeva così una delle figure sportive più rappresentative e prestigiose, a trent’anni di distanza – 26 luglio 1925 – dalla morte del padre Antonio Ascari, sul circuito di Montlhéry, a bordo di un’Alfa Romeo P2.
Parallelismo sinistro
Una serie di drammatiche coincidenze – lo stesso giorno del mese, il 26, una curva a sinistra e l’età di 37 anni per entrambi – per un fatto che nel 1955 fece piombare nel lutto tutto il mondo motoristico e sportivo, non solo italiano. Tra l’altro, anche la dinamica dell’incidente, accaduto alla curva sinistrorsa del “Vialone” – poi diventata Curva e Variante Ascari – non venne mai del tutto chiarita. All’epoca, infatti, vennero avanzate diverse ipotesi: malore del pilota non del tutto ristabilitosi dal “volo” in mare nel GP di Monaco di F.1 di quattro giorni prima con la Lancia D50, colpo di vento laterale, l’attraversamento della pista durante la pausa pranzo da parte di operai impiegati nei lavori della Sopraelevata, guasto meccanico alla vettura. Ma nessuna di queste si impose sulle altre.
Perché Alberto risalì al volante?
Al di là delle incredibili coincidenze riguardanti la scomparsa di padre e figlio, rimase a lungo anche l’interrogativo del perché l’asso milanese avesse voluto ritornare al volante di un’auto da corsa, in un’occasione non programmata, a pochi giorni dal drammatico (ma incruento) incidente di Monaco. Per di più, con casco, occhiali e guanti avuti in prestito. Lui che era così maniacalmente legato ai suoi effetti personali da corsa. Forse, si era fatto più forte in lui il desiderio di risalire subito in auto, anche se non sua, su una pista amica e che lui conosceva a memoria come quella di Monza, per scacciare gli incubi del “volo” in mare nel porto di Monte Carlo. Tutti i giornali parlarono della tragedia e Walter Molino, sulla “Domenica del Corriere” del 5 giugno, tentò un’interpretazione con la sua tavola in cui si vede la Ferrari Sport capottarsi in curva, con Alberto Ascari (non trattenuto da cinture, non presenti all’epoca), sbalzato fuori dall’abitacolo, lontano dalla vettura. Un epilogo crudele e amaro per un campionissimo che aveva regalato così tante soddisfazioni agli appassionati italiani, in un difficile Dopoguerra. Pilota che noi oggi vogliamo ricordare per il suo grande valore e la sua maestria.