Con la Serie 7 E38, presentata nel 1994, BMW rilanciava il guanto di sfida all’arcirivale Mercedes-Benz Classe S (del 1991) che, fino a quel momento rappresentava il benchmark tecnologico per le berline di lusso. Ma si sa, troppo non è mai abbastanza e così, per chi desiderava una variante più sportiva e prestante della nuova Serie 7, Alpina sviluppò la seconda generazione della B12 partendo dalla prestigiosa 750i con motore V12.
Nel 1995 la Alpina B12, pur presentandosi come una delle berline più veloci al mondo, debuttò senza troppo clamore. Infatti, in tempi in cui Internet era ancora lungi dall’essere onnipresente, i preparatori e i piccoli costruttori locali erano noti soltanto ai più ferventi appassionati di motorismo.
La nuova B12 5.7 sostituiva la generazione precedente basata sulla BMW Serie 7 E32 e, con teutonica efficienza, rivestiva il ruolo di superammiraglia forte del nuovo e poderoso 12 cilindri BMW rimaneggiato nelle sue componenti.
Lusso e prestazioni. Per chi non la conoscesse, la storia automobilistica della Alpina inizia nel 1962, quando la società passava dal settore delle forniture da ufficio a quello della meccanica con il primo kit di carburatori ad alte prestazioni per i modelli della “Neue Klasse”. Poi, in crescendo, l’attività si estese ben presto all’elaborazione completa delle vetture BMW. Dal 1983 Alpina pur operando a stretto contatto con la BMW è riconosciuta come costruttore indipendente.
L’approccio dell’azienda di Buchloe è sempre stato quello di esaltare lusso e prestazioni deile BMW, lasciando alla Divisione Motorsport della casa madre “l’onere” di affinare il focus sulla dinamica di guida.
Sempre in corsia di sorpasso. Esponente di una gloriosa, quanto poco celebrata, stirpe di velocissime berline, l’Alpina B12 venne progettata principalmente per chi usufruisce, in pianta stabile, della corsia sinistra delle Autobahn tedesche. Infatti, aggirando il “gentlemen’s agreement” stabilito tra le principali OEM tedesche, la B12 5.7 poteva superare i 280 km/h in luogo dei canonici 250 km/h limitati elettronicamente, delle berline e coupé ufficiali. Mentre lo 0-100 km/h era coperto in 6,4 secondi.
La tecnica. Sotto il cofano trovava posto una versione rialesata del “M73”, il nuovo V12 introdotto con la BMW 750i. Le modifiche includevano pertanto un aumento della cilindrata a 5,7 litri, un sistema di aspirazione dell’aria modificato, nuove teste dei cilindri e pistoni Mahle con compressione maggiore. Questo portò ad un aumento di potenza di circa 60 CV, consentendo all’unità di toccare quota 382 CV e 560 Nm di coppia.
Il motore era accoppiato a un cambio automatico ZF a cinque marce con un innovativo sistema di innesto chiamato “Switchtronic”, ovvero una delle prime trasmissioni che consentiva la cambiata manuale tramite due pulsanti sul retro del volante, con frecce su e giù in rilievo.
Un occhio all’ambiente. Considerato l’aumento delle prestazioni e la vocazione più vivace del cliente medio Alpina, la B12 venne equipaggiata con un assetto più rigido rispetto a quello della 750i (con sospensioni a controllo elettronico), pensata in primis come berlina di rappresentanza.
Con la seconda generazione della B12, Alpina introdusse anche il catalizzatore E-KAT che secondo la Casa, rispettando la normativa Euro 2, migliorava dell’80% i valori standard imposti dalla UE per le emissioni di idrocarburi, NOX e monossido di carbonio. Alpina era così orgogliosa di questo risultato che dotò le vetture di quel periodo con una targhetta supplementare sul baule per vantarsi del risultato.
Distintiva. L’estetica della B12 Serie E38, come avvenuto per le altre Alpina, rimase molto simile a quello della slanciata ammiraglia di Monaco, ma alcuni dettagli la rendevano immediatamente riconoscibile: innanzitutto i cerchi multirazza da 20”, probabilmente i più grandi montati su un’auto di serie degli anni 90 (su pneumatici Michelin Pilot Super Sport), lo spoiler anteriore più profilato oltre ovviamente alla targhetta identificativa al posteriore. Per fugare ogni dubbio, su richiesta, erano disponibili anche le tipiche serigrafie gessate sulla fiancata, con gli scudetti e la dicitura “Alpina”.
Il meglio del meglio. All’interno spiccavano i rivestimenti in morbida pelle di Bufalo con inserti in legno pregiato e il quadro strumenti dedicato a fondo blu. E, trattandosi di un modello molto speciale, il cliente aveva un’ampia scelta per la personalizzazione. Tra le dotazioni opzionali, spesso selezionate in blocco dalla facoltosi proprietari, c’erano: i sedili posteriori riscaldati e regolabili elettricamente in aggiunta ai più familiari tavolini e gli specchietti di cortesia, a scomparsa, integrati nel retro dei sedili anteriori o l’innovativo (per l’epoca) sistema di navigazione satellitare con impianto di telefonia veicolare.
Poco conosciute. Con queste prerogative, la Alpina B12 non potevano che essere vetture costosissime (circa 200.000.000 di lire dell’epoca) e ciò, unitamente ad una rete vendita circoscritta a poche concessionarie BMW limitò fortemente la diffusione di queste auto al di fuori della Germania. Il secondo mercato di riferimento fu il Giappone, dove c’era un accanito gruppo di appassionati della piccola azienda tedesca. Ciascuna vettura era corredata, inoltre, di una targhetta che riportava il numero di produzione della vettura: tra il 1995 e il 1998 vennero realizzate appena 202 unità, 94 delle quali nella variante passo lungo e una mezza dozzina con guida a destra.
In crescendo. Nel 1999, poco dopo il restyling della BMW Serie 7 E38, la B12 venne equipaggiata con un motore sei litri: una nuova configurazione del collaudato V12 BMW. L’aggiornamento delle componenti interne a partire da un nuovo albero a camme, l’impianto di iniezione Bosch Motronic M5 2.1 e il sistema di scarico riprogettato permisero al motore di raggiungere una potenza di 424 CV e 600 Nm di coppia massima, che lo resero il motore più grande e potente mai realizzato prima dai tecnici Alpina. La trasmissione, invece, rimase la stessa della 5.7.
Con il surplus della cavalleria, ne beneficiarono anche le prestazioni: il tempo di accelerazione 0-100 km/h calava sotto i sei secondi (5,9 s) mentre la velocità massima salì a 291 km/h e la partenza sul chilometro, da fermo, era coperta in 23,5 secondi.
Da collezione. All’esterno l’Alpina B12 6.0 si distingueva per i fari anteriori con le doppie semicirconferenze in corrispondenza dei gruppi ottici, ripresi dalla Serie 7 e per i pneumatici ancora più larghi: 245/40ZR20 all’anteriore e 275/35ZR20 al posteriore. La B12 6.0 venne prodotta per soli due anni, fino al 2001, totalizzando 94 esemplari.
Tutto ciò rende oggi l’Alpina B12 un modello molto raro e ambito dagli amanti delle youngtimer, in particolare quelli che, disposti a spendere svariate decine di migliaia di euro, desiderano viaggiare nel comfort totale, senza rinunciare allo stile e tenere il passo di un caccia da combattimento.