L’Aston Martin Bulldog è una concept car rimasta a lungo nell’oblio. Presentata nel 1980, la Bulldog si configurava come una sportiva ad elevatissime prestazioni, sviluppata da Aston Martin per rientrare a pieno titolo nell’Olimpo delle supercar. L’obiettivo della Bulldog era abbattere per prima il muro delle 200 miglia orarie.
Di auto spigolose ne sono state prodotte tantissime e di ogni sorta, eppure, al netto del recente Cybertruck di Elon Musk, pochissimi esemplari hanno incarnato l’ideale estetico caratterizzato da linee estremizzate all’essenziale come l’Aston Martin Bulldog. Nel 1980, la Bulldog doveva essere l’auto dei record ma, purtroppo, questa particolare sportiva inglese restò un prototipo e dopo essere stata acquistata da un facoltoso cliente è praticamente scomparsa dai radar mediatici.
La genesi del progetto. Nella prima metà degli anni 70 la gloriosa Casa britannica non navigava in buone acque: la situazione finanziaria non era rosea e le vetture risentivano di uno stile fin troppo conservatore e legato alla tradizione artigianale. Sul finire del decennio, Aston Martin decise di segnare una pagina importante nella storia dell’automobile realizzando una vettura in grado di superare le 200 miglia orarie (321 km/h). Venne avviato così il progetto K.901.
Il nome definitivo per la vettura sarebbe stato “Bulldog”, ripreso dall’omonimo personaggio della serie tv Doctor Who. L’Aston Martin Bulldog venne svelata nel 1980 al Bell Hotel di Aston Clinton, nell’amena campagna del Buckinghamshire. Le sue linee ultramoderne segnavano un contrasto netto con l’architettura tipica del piccolo villaggio, esaltando ancor più “l’effetto wow” che la Bulldog generava nell’osservatore.
Brutalismo su ruote. Il design della vettura venne definito da William Towns, già fautore dell’avveniristica Aston Martin Lagonda del 1976. Come la berlina, anche la futura Bulldog, si caratterizzava per uno stile fortemente geometrico e spigoloso, ispirato vagamente al modernismo della Countach e della Esprit, ma rappresentato con un linguaggio ancora più minimale e dal vago sapore brutalista.
L’Aston Martin Bulldog era una granturismo a due posti secchi con la scenografica apertura delle porte ad ali di gabbiano con servoassistenza elettrica. La massima pulizia dello stile era sottolineata dalla fanaleria, celata da una palpebra che all’occorrenza scopriva i cinque proiettori alloggiati sotto il parabrezza. Lunga 4,75 metri e alta soltanto 1,1, la Bulldog aveva un coefficiente aerodinamico straordinario per l’epoca, pari a 0,34. All’interno, il rigore geometrico caratterizzava anche la plancia, con la spettacolare strumentazione touch della berlina Lagonda. Tra diodi e sensori tattili, l’abitacolo era un tripudio di pelle e legni pregiati che omaggiavano il più puro stile British, seppur espresso nel linguaggio sintetico del modernismo.
La tecnica. Sul fronte meccanico, la Bulldog era equipaggiata con un potentissimo V8 da 5,3 litri dotato di turbocompressore Garrett, la cui potenza poteva superare i 700 CV. Sulla vettura venne installata una versione leggermente depotenziata da 650 CV, affinché la poderosa coppia motrice da 673 Nm non sollecitasse in maniera eccessiva la trasmissione e gli altri organi meccanici.
Inizialmente si pensò di produrre la Bulldog in una piccola serie limitata, tra i 12 e i 25 esemplari, quanto bastava per ingolosire il gotha del collezionismo mondiale e riportare Aston Martin agli onori delle cronache ma l’auto rimase esemplare unico.
Obiettivo mancato. L’Aston Martin Bulldog venne creata con il preciso intento di abbattere il muro delle fatidiche 200 miglia all’ora ma durante il test al circuito di MIRA nel 1981, la velocità più alta registrata fu di 191 mph, 307 km/h. Erano necessari degli aggiornamenti per raggiungere quell’obiettivo. Le modifiche risultarono troppo costose in rapporto alla produzione stimata in origine e alle risorse limitate a disposizione.
Nello stesso anno, l’Aston Martin cambiò gestione e il nuovo presidente, Victor Gauntlett, cancellò il progetto. La Bulldog fu venduta per circa 130.000 sterline ad un ricco collezionista del Medio Oriente.
Dopo la vendita si perse ogni traccia dell’auto. In tempi recenti, il figlio dell’ex amministratore delegato dell’Aston Martin è riuscito a rintracciare la vettura, riacquistata da un collezionista americano.
Opera di ripristino. Durante gli ultimi quarant’anni, la vettura ha subito alcune modifiche. La carrozzeria, che in origine era color argento, è stata riverniciata in due tonalità verde metallizzato, anche i rivestimenti interni sono stati sostituiti, con la pelle beige in luogo della marrone. Alcuni particolari interni come gli interruttori e la leva del cambio sono stati impreziositi da finiture dorate. Inoltre, sono stati montati degli specchietti retrovisori posticci ed un monitor che mostra la visuale posteriore in fase di retromarcia.
Nel 2020 è iniziato un restauro completo della vettura, un intervento di 18 mesi che verrà ultimato prossimamente dall’officina inglese CMC (Classic Motor Cars). Nigel Woodward, amministratore delegato di CMC ha dichiarato: “Vogliamo riportare l’auto alla sua prima configurazione ma potremmo includere componenti e tecnologie moderne per migliorarne l’affidabilità. Intendiamo tuttavia mantenere l’architettura e la configurazione originale dell’auto lavorando con i tecnici che l’hanno sviluppata”.
Quel conto in sospeso. Anche al giorno d’oggi l’Aston Martin Bulldog torna a far parlare di sé. All’inizio del 2021, Richard Gauntlett, figlio di Victor Gauntlett, che aveva interrotto la progettazione della Bulldog, ha aggiornato il motore della vettura annunciando un’iniziativa sensazionale: ripetere il famoso test del MIRA affinché la Bulldog possa finalmente raggiungere le 200 miglia orarie. Nell’impresa sarà coinvolto anche Darren Turner, pilota Aston Martin nel mondiale Endurance.
Il progetto, sponsorizzato da Aston Martin ci riporta in una dimensione romantica, tipica del motorismo britannico. Non capita di frequente che alcuni appassionati e la Casa madre lavorino fianco a fianco per consentire ad un’auto, la Bulldog, di scrivere una pagina importante nella storia dell’automobilismo, a partire da quel capitolo rimasto in sospeso quarant’anni fa.