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Auto-mobile, l’origine sta nel vento

Se vivesse ai nostri giorni, Guido da Vigevano sarebbe non solo un geniale ingegnere ma anche una sorta di Piero Angela dedito a spiegare la scienza e a divulgarla. Lo era già, in un certo modo, ai suoi tempi. E stiamo parlando del Medioevo. Guido, inventore della prima auto-mobile, un carro a vento, era un contemporaneo di Dante Alighieri. Ed era un medico, nato nel 1280. Nel periodo in cui nascevano le prime università, raffigurava già i concetti che il suo maestro riportava dopo notti passate a dissezionare cadaveri. Aveva infatti capito l’importanza di corredare le descrizioni testuali con illustrazioni e, sebbene non si sappia se sia stato il primo ad applicare questa formula in testi tecnici, il suo metodo è il più antico che si conosca. Non solo: anticipa, di oltre un secolo, il lavoro di Leonardo da Vinci.

È stata proprio una delle massime conoscitrici dell’opera vinciana a convalidare ora questa importante innovazione, presente anche nel manoscritto del 1335 in cui Guido spiega il progetto del suo carro: Paola Salvi, professoressa di anatomia artistica all’Accademia di Brera ha aggiunto così un altro tassello alla conoscenza di “Texaurus Regis Franciae”, conservato nella Bibliothèque nationale de France a Parigi. Un lavoro di squadra iniziato anni fa che ha coinvolto anche il Politecnico di Milano e il Politecnico di Torino. Oltre all’Università di Pavia: “Ci si è chiesti innanzitutto se il mezzo fosse soltanto una specie di sogno o un’elaborazione realizzabile”, spiega Carlo Eugenio Rottenbacher, docente di meccanica applicata presso l’ateneo pavese.

Un primo fondamentale contributo è arrivato da “Le macchine del re”, un volume del 1993 in cui Giustina Ostuni, ricercatrice interpellata dall’allora presidente della Società Storica Vigevanese – che ha dato il via alle attuali indagini –, ha tradotto in maniera critica il manoscritto sia da un punto di vista umanistico sia tecnico, coinvolgendo altri esperti. Del carro, poi, mai concretizzato nella realtà, è stato anche costruito un modellino in scala, esposto lo scorso febbraio ad Automotoretrò dal Raci – Registro Ancêtres Club Italia. Prossima tappa, il “Settimo convegno di storia dell’Ingegneria”, a Napoli il 23 e il 24 aprile.

Ma in cosa consiste esattamente il mezzo? E quale doveva essere il suo scopo? All’epoca la sua tecnologia era mirabolante, citata da un centinaio di anni a questa parte da molti studiosi. Guido ha di fatto concepito un mulino a vento semovente. Con un approccio assolutamente pragmatico: destinato al re di Francia Filippo VI di Valois per una crociata in Terra Santa, il carro era una macchina da guerra da costruire sul luogo di battaglia, perciò non era necessario, secondo il vigevanese, che l’inventore definisse nella fase dello scritto dettagli come il rapporto di trasmissione e l’orientamento delle pale.

Le innovazioni meccaniche presenti, tuttavia, sono molteplici: innanzitutto, questa sorta di manuale fornito al re contiene le prime raffigurazioni della storia di una manovella e di un asse sterzante (posteriore). Stessa cosa per il cuscinetto che avrebbe dovuto permettere alla calotta superiore di orientarsi al vento, altro componente che Guido da Vigevano ha per primo riprodotto su carta. Il mezzo, paragonabile come dimensioni alla più grande mietitrebbia contemporanea (Lova 2001, maggiorata però di un metro in altezza, larghezza e lunghezza), avrebbe dovuto incutere terrore nel nemico e nello stesso tempo trasportare soldati. Filippo VI, alla cui corte Guido risiedeva come medico personale della regina, ha poi avuto in realtà altre grane a cui badare, vedi la Guerra dei Cent’Anni, ma il piano del carro a vento rappresenta comunque un primato storico italiano di importanza epocale. E continua, nonostante siano passati quasi sette secoli, a interessare gli accademici di tutto il Globo.

Laura Ferriccioli

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