Ottanta anni fa, in questi giorni, l’Italia automobilistica si fermava: tutte le risorse sarebbero state destinate allo sforzo bellico. Una sorta di quarantena, ma ben più lunga e catastrofica di quella che abbiamo vissuto nei mesi scorsi. La più sciagurata delle tempeste era scoppiata: si entrava in guerra a fianco della Germania nazista, contro gli alleati che tutti ben ricordavano.
Buona parte del Paese non capiva, non condivideva, aveva paura, ma si adeguò confidando che la vittoria lampo promessa da Mussolini (e il celebre “qualche migliaio di morti per sedere al tavolo della pace” ) fossero veri. Non fu così: i caduti diventarono quasi mezzo milione, tra civili e militari, il tavolo fu quello della resa senza condizioni, la pace quella di un Paese distrutto.
Fermi tutti. Così, tra le molte cose che si smise di fare, ci fu anche quella di andare in automobile privata. Giubilati i “tassì” , i noleggi con conducente e i soliti raccomandati (che sotto il regime erano moltissimi), tutti gli altri dovettero parcheggiare la vettura, fosse una Topolino o una Lancia Astura. Garage più o meno improvvisati, portici, fienili si riempirono di auto, alcune già mortificate dalla biacca sui parafanghi (obbligatoria dopo l’inizio dell’oscuramento), o dalle bombole di metano sul tetto, o – peggio – dalle caldaiette a gassogeno montate a sbalzo sul posteriore. Queste ultime sarebbero poi state recuperate alla vita, in quanto almeno il medico, il veterinario, o l’avvocato di paese potessero accorrere quando serviva. Ma auto a spasso si contavano sulle dita. E fu un divieto doloroso, perché anche se la motorizzazione di massa in Italia era di là da venire, i privilegiati che potevano permettersela avevano cominciato da poco. E la novità era molto divertente.
I razionamenti. Il divieto di circolazione era già scattato una volta nel settembre 1939, quando Hitler invase la Polonia. Ma dopo qualche settimana era rientrato, dal momento che era prevalsa la scelta della non belligeranza italiana e la tempesta momentaneamente schivata. Ma nell’estate 1940, alla famosa “ora segnata dal destino” la proibizione scattò di nuovo e “sine die”. Durò, di fatto, fino alla Liberazione ed era dovuta alla necessità di destinare tutta la benzina disponibile all’esercito e all’aeronautica, la nafta alla marina, gli oli minerali un po’ a tutti. Oltre ai derivati del petrolio, che giungevano ormai solo dall’Europa centrale (e soprattutto dalla Romania), essendo il Medio Oriente in mano agli Inglesi, si aggiungeva la penuria di gomma per pneumatici e componenti. I paesi produttori erano anch’essi quasi tutti oltre la linea del fronte, impossibilitati a qualunque rifornimento e la produzione di gomma sintetica ancora agli albori. Anche il piombo delle batterie, il rame degli avvolgimenti, l’acciaio di tutto il resto in Italia erano rari. E come tali razionati. Qualcuno ricorderà la campagna del ferro, che fece sparire – tra le altre cose – le cancellate di parchi e giardini, per portare a termine le nostre magnifiche quanto inutili navi corazzate.
L’astinenza dalla guida. Così, sul numero del 30 luglio 1940, l’Auto Italiana titolava “Terzo mese di digiuno” e rispondeva in modo molto allineato ai lettori che chiedevano se non si potesse fare qualcosa per ammorbidire l’embargo. Date le spiegazioni di più sopra, e ricordato il “successo trionfale” che certamente attendeva il Paese, lo stile ampolloso di Aldo Farinelli si avventurava a chiedere se mai non convenisse lasciar circolare qualche parsimoniosa Topolino privata, piuttosto che le grosse Lambda a noleggio. Le auto che molti italiani “in numerosa e femminile compagnia” utilizzavano per concedersi una scampagnata estiva. O ancora, se tutte le insegne a stella (che distinguevano i permessi speciali di guida) fossero davvero motivate, visto che spesso le si vedeva sostare davanti a noti ristoranti o altri luoghi voluttuari. Il giornale concludeva proponendo, con i dovuti ossequi, se mai non si potesse concedere almeno una “gita settimanale” a ciascun proprietario, privilegiando magari le piccole cilindrate come la Balilla, la Ardea o la Millecento. Una sorta di bonus contro l’astinenza da guida, motivato con la necessità di tener viva l’automobile, affinché non deperisse. “Fatti i dovuti conti – scriveva ancora Farinelli – non si sarebbe consumato un litro di benzina in più. Anzi… Tutto in attesa, dopo la vittoria, di riprendere l’interrotto cammino.”