Elegante e seducente come poche, la vettura di cui vi parliamo oggi è una nostra vecchia conoscenza: è l’auto di Andrea Dal Vecchio, affezionato lettore e grande esperto di auto d’epoca, che aveva già affidato la CS alla redazione per l’uscita di febbraio 2015. La stessa immortalata, anche, nell’allegato Guida al Collezionismo BMW. Questa volta ci siamo avventurati sui colli torinesi per saggiare le doti della splendida granturismo tedesca.
“Mio nonno è rimasto legato a quest’auto per tutta la vita” spiega Andrea, riferendosi alla protagonista di questo reportage: una magnifica BMW 2800 CS, originale e ben conservata. L’auto verniciata in un affascinante “Verde Tudra” e con interni in velluto color cammello, apparteneva a Lino Dal Vecchio, costruttore edile che l’acquistò nel 1971 (l’ultimo anno di produzione), pagandola la bellezza di 4.850.000 Lire. E prosegue: “Dopo la prima auto, una Fiat 600, passò alla BMW 700 poi alle 1600 e 1800 berlina e, ancora, alla 2000 CS. La 2800 CS è stata la sua ultima BMW”, continua: “L’ha usata quotidianamente per una decina d’anni poi per i suoi spostamenti quotidiani ha sempre usato delle Volkswagen Golf, fino alla quarta serie”. Intanto, sul tavolino del salotto, il padrone di casa inizia a disporre la cartella stampa del Salone di Torino del 1970, nel quale venivano illustrate la CS e le sue sorelle durante la kermesse sabauda, assieme a una serie di depliant BMW dell’epoca. “Mancava proprio quello della 2800 ma l’ho recuperato a Reggio Emilia ad un mercatino”.
Suggestioni noir. A pochi passi dalla casa di Andrea c’è il garage e qui, tra le luci basse e il suono cupo del 2,8 litri, sembra di essere in un film noir anni 70. Mettere in moto il sei cilindri in linea BMW è emozionante: si comprende sin dall’accensione che sta prendendo vita qualcosa di speciale. Suoni e sensazioni, dal fascino d’altri tempi, a dare quel tocco in più assente sulle vetture odierne. Con lo starter automatico il minimo resta alto per qualche minuto prima di stabilizzarsi, siamo pronti a partire. In strada la presenza scenica della CS ammalia tutti, appassionati e non.
La capostipite. Sostituta della 2000 CS, nel 1968 la “2800” dava inizio alla dinastia delle E9 presentandosi come una coupé di prestigio, dal piglio sportivo, in grado di coccolare guidatore e passeggeri con finiture curate e dotazioni importanti per l’epoca. Nella dotazione di serie figuravano, fra le altre cose, il servosterzo (la prima BMW ad offrirlo nell’equipaggiamento di base) e gli alzacristalli elettrici. Tra gli optional presenti su questo esemplare ci sono invece i poggiatesta, i cerchi in lega Cromodora, il lunotto sbrinabile e i fari fendinebbia Bosch, installati a posteriori.
La tedesca veste all’italiana. La sua linea, più snella e accattivante rispetto a quella della 2000, portava anche in questo caso la firma di Giovanni Michelotti. L’esemplare specifico di cui vi parliamo è legato a doppio filo con il capoluogo sabaudo: infatti è stato esposto durante la mostra “Michelotti World” organizzata in onore del designer torinese, tenutasi al Mauto lo scorso autunno.
La silhouette, lineare e ben proporzionata, era caratterizzata da un listello cromato che marcava la linea di cintura mentre il padiglione prevedeva montanti sottili con il tipico “Gomito di Hofmeister” nella parte finale della cornice dei finestrini. Sul muso, aggressivo e proteso in avanti, spiccava l’immancabile doppio rene, posto tra le due grandi feritoie in cui erano alloggiati i quattro proiettori circolari, annegati nella tipica finitura a listelli. Gli indicatori di direzione, seguendo il family feeling dell’epoca, erano in posizione angolare subito dietro i proiettori esterni. In coda spiccava invece la fanaleria a sviluppo orizzontale, con le estremità arrotondate.
La tecnica. Sotto il lungo cofano anteriore trovava posto una nuova declinazione del classico sei cilindri monoalbero BMW, da 2.788 cc e 170 CV. Nel 1971, la gamma CS vide l’arrivo delle versioni tre litri “3000 CS” (180 CV) e “3000 CSi” (con motore a iniezione da 200 CV) su cui venne sviluppata la gloriosa 3000 CSL e le sue iconiche derivate da competizione.
Progressivo e setoso nell’erogazione, il motore della 2800 è accoppiato ad un preciso cambio manuale a quattro marce (quinta marcia optional), con la leva e gli innesti corti. Il piccolo pomello in legno è piacevolissimo da azionare, mentre l’eccellente elasticità consente di riprendere bene anche in terza nei brevi tratti disseminati di semafori del centro città. Optiamo per la collina: meno trafficata e baciata da una luce morbida, in grado di attenuare il trambusto cittadino.
La magia della collina. Dopo una sosta davanti alla Casa dell’Obelisco di Piazza Crimea, capolavoro neoliberty firmato da Luzi e Sodano, puntiamo il muso della BMW verso Via alla Villa Quiete, strada seminascosta costellata di villini neogotici. Da lì ci inerpichiamo tra i tornanti, strettissimi e serpeggianti, di Strada del Nobile dove, per puro caso, incrociamo una BMW M3 E30 rosso fiammante. Foto di rito e via, si riparte.
Una luce ambrata filtra dalle fronde, sempre più fitte, mentre qua e là spuntano le grandi ville nobiliari immerse nel verde. Sembra una città fiabesca, sospesa su Torino, relegata alla dimensione immateriale:
silenzio, solo il gorgoglio del carburatore e la voce del sei cilindri. Nell’abitacolo brillano le cornici cromate dei deflettori mentre la 2800 CS danza agile tra le curve: arriviamo al Colle della Maddalena, poi iniziamo la discesa da Strada alle Vigne di San Vito.
Finale da brivido. I parallelismi cinematografici si ripresentano con le ultime foto, scattate prima di salutarci, davanti a Villa Scott: altra location storica, celebre per aver ospitato il set di “Profondo Rosso”, pellicola cult del genere horror firmata dal maestro del brivido Dario Argento. Non prima di aver percorso Viale Seneca e Viale Catone, dove tra le ombre della vegetazione si scorge Torino, adagiata accanto al Po. Oltre la città c’è la Valle di Susa e poi, ancora, l’Arco Alpino. Tra i rami penduli s’intravede il profilo inconfondibile della Mole Antonelliana, quanto basta per immortalare nella nostra memoria dei brevi fotogrammi dai contorni sfumati ma ormai indelebili.