Dalla produzione del sughero ai motocarri, dal motore Wankel all’auto elettrica: è questa l’estrema sintesi della storia di Mazda. Ma dentro c’è molto di più, un percorso lungo cent’anni che la Casa giapponese sta celebrando in tutto il mondo.
Noi siamo stati invitati a vivere una giornata fuori dal comune in Germania: all’arrivo a Monaco troviamo schierati i modelli più recenti della Casa con i quali affrontiamo i chilometri che ci separano da Adelsried, a poca distanza da Augusta. Lì più di venti Mazda storiche ci attendono con sportello aperto e chiavi nel quadro per farci vivere un pomeriggio davvero diverso dal solito. Dobbiamo solo scegliere quale guidare per prima.
Per iniziare. Le ammiro e le fotografo tutte ma alla fine la mia scelta ricade su di lei, la Luce R130 Rotary Coupé. È perfetta per la mia prima volta al volante di un’auto storica: è l’auto che ha segnato l’ingresso di Mazda nel segmento delle auto di lusso, all’epoca emergente, il suo nome è un omaggio al nostro Paese ed è stata disegnata da Giorgetto Giugiaro. Le sue linee conquistano al primo sguardo e, nonostante i suoi 54 anni di vita, a bordo si sta comodi: la guida a destra e il cambio da gestire con la mano sinistra li ho già sperimentati, qui c’è da prendere le misure con gli specchietti retrovisori “a distanza” sul cofano, lo sterzo non propriamente leggerissimo e le dimensioni. Per prendere confidenza, però, mi bastano un paio di minuti e poi via, lungo le strade che accarezzano le colline tedesche.
Lei ha fatto la storia. Primo giro finito, è ora di cambiare auto. Resto negli anni 60 e scelgo la Cosmo Sport 110S: prodotta tra il 1967 e il 1972, è la prima auto di serie con motore rotativo a doppio rotore. A differenza della Luce, qui ci si cala nell’abitacolo e si sta seduti ben raccolti. A occhio direi che ho meno spazio che sulla MX-5, e già lì ho qualche difficoltà a starci. Ma oggi nulla mi può fermare, così inizio a guidare. Dopo un attimo di difficoltà iniziale, il cambio si impunta un po’ e lo sterzo non è dei più leggeri, anche con la Cosmo c’è da divertirsi.
L’icona. Il tempo vola ed è il momento del terzo giro: la prescelta è una MX-5 Roadster del 1995. Presentata per la prima volta al Salone di Chicago del 1989, è l’indiscussa icona del marchio. In giro per il mondo la si chiama con nomi diversi: in Europa MX-5, negli States Miata e in Giappone Eunos Roadster. C’è una cosa che però non cambia mai: il piacere di guida. Poco importa se qui non ci sono schermi touch e quadri strumenti digitali: la brillantezza del motore e la sua leggerezza le donano un feeling inconfondibile.
La sorpresa. Il sole inizia a calare sulle colline e io ho giusto il tempo di un ultimo test drive: seguo il suggerimento datomi da un collega prima della partenza e mi metto al volante di una RX-7, la sportiva a motore rotativo più venduta della storia. In quasi 25 anni di produzione ne sono state costruite quasi un milione. Guidandola non si direbbe che abbia già 30 anni (l’esemplare in prova è del 1991): l’erogazione fluida del motore, gli innesti del cambio rapidi e precisi e la prontezza di risposta dello sterzo, regalato ottime sensazioni e un gran divertimento. Lo confesso, sulla Luce ci ho lasciato il cuore ma con questa RX-7 ci sarei tornata volentieri a casa.
Una notte al museo. Il tempo per la guida è finito, ma non quello delle sorprese. Ci attende infatti la visita al Mazda Classic, il primo museo ufficiale Mazda fuori dai confini giapponesi, nonché l’unico aperto al pubblico. Si trova all’interno di una vecchia rimessa dei tram e a fondarlo sono stati Walter Frey e i suoi figli Joachim e Marcus: sono loro ad accoglierci e a trasformare la visita in quella che potrebbe essere una raccolta di favole per la buona notte per piccoli appassionati d’auto. Ogni macchina esposta nel museo, infatti, è legata a una storia o a un aneddoto particolare.
La prima. Si inizia con la R360, la prima Mazda prodotta in serie: è stata comprata da un venditore australiano, dopo aver letto l’annuncio su un giornale. Peccato solo che fosse vecchio di due anni. Mr. Frey però ci spera, chiama e la trova ancora disponibile. Così la fa arrivare dall’Australia, convinto dal venditore che sia nelle “migliori condizioni mai viste”. La macchina arriva in Germania: il motore è distrutto, la testata e i pistoni rotti, all’interno non si sono più i sedili e l’auto ha altre mille pecche. La chiamata al venditore è immediata, ma quest’ultimo continua a sostenere la sua tesi: “Quella è la R360 meglio conservata in circolazione”. Iniziano allora i lavori di restauro e ora lei è lì, scintillante più che mai, ad accogliere gli ospiti.
Le altre. E poi c’è la 1000 coupé, comprata ad un asta australiana. La famiglia Frey si è collegata in piena notte per riuscire ad accaparrarsela, e non solo ce l’ha fatta ma ha anche spuntato un prezzo migliore del previsto. Segue la Mazda E 2200: prima acquistata, poi venduta e utilizzata dalla città di Augusta come mezzo di primo soccorso e infine riacquistata. Il valore affettivo era troppo alto per lasciarla nelle mani di altri. E ancora, la Mazda Parkway che arriva direttamente da Hiroshima, dov’era utilizzata come scuolabus, e la Pathfinder XV-1, comprata per pura passione nonostante fosse completamente arrugginita e con il motore distrutto. Ora anche lei risplende nel museo.
Il lieto fine. Ma la storia che più mi ha colpita è quella della Roadpacer, prodotta in soli 800 esemplari e non così facile da avere. I fratelli Frey la individuano in asta su eBay Australia, fanno un’offerta e vincono: il venditore, però, si rifiuta di spedire l’auto in Europa e così l’accordo sfuma. Passano due anni e Walter Frey viene contattato da un neozelandese che gli comunica di avere l’auto e di essere disposto a spedirla. Si tratta di un collezionista messo alle strette dalla nuova fidanzata con un ultimatum “o me o le macchine”, la sua scelta è ricaduta sulla compagna e la famiglia Frey è così entrata in possesso della Roadpacer.
testo di Francesca Galbiati