La meccanica di un’auto popolare vestita fuoriserie: questo il criterio con cui un appassionato di Forlì seleziona le macchine della sua collezione. Sotto la carrozzeria GT disegnata da Michelotti, trovi gli organi meccanici della “1100 D”, ma 55 CV bastano e avanzano per provare l’ebbrezza del controsterzo
“Io sto con le fuoriserie. Non le solite vetture blasonate, ma quelle di estrazione popolare, quasi tutte con meccanica Fiat. Una ‘600’ o una ‘1100’, vestite da un Boano o una Vignale, per me sono pezzi pregiati”, dice Vittorio Valbonesi di Forlì, 44 anni. Perciò, quando nel 2002 gli segnalano una Fiat Osi “1200 S Coupé” a Brescia, Valbonesi non ci pensa un attimo e va subito a vederla.
Questa vettura veniva costruita, anche in versione spider, dalla torinese Osi (Officina Stampaggi Industriali) su disegno di Giovanni Michelotti, utilizzando organi meccanici e pianale della Fiat “1100 D” con passo accorciato di 20 cm; tra il 1964 e il 1966 fu prodotta in meno di 70 esemplari, contro i quasi 280 della versione spider.
La piccola 2+2 del 1966 color “Rosso Racing” si presenta a Valbonesi in buono stato e con tutti i componenti originali; l’interno è ben conservato, ma la moquette deve essere sostituita. L’affare si conclude e Valbonesi si porta la Osi nella sua Forlì. La parte più difficile del restauro è la ricostruzione del paraurti anteriore. Ma Renato, artigiano in pensione amico di Valbonesi, partendo dalla lama di una Ford “Taunus” e dai “cantonali” di un paraurti dell’Opel “Mantra”, riesce a ricostruire il paraurti sulla base delle foto di una brochure e di altre pubblicate su Quattroruote, avendo come modello, per dimensioni e curve, il paraurti posteriore. Il problema della moquette viene risolto adattando il bouclé della Fiat “124”.
Pochi mesi più tardi, Valbonesi può portare la Osi al suo primo raduno. Su strada la vettura, con i suoi 55 CV, offre poche emozioni sportive; i pneumatici stretti e lo sterzo demoltiplicato rendono la guida un po’ approssimativa; l’assetto è rigido e in curva ci vuol poco a far partire il retrotreno. “So che la linea della carrozzeria non è una bellezza”, ammette il proprietario, “ma sicuramente non fu facile per Michelotti disegnare una linea sportiva partendo da un cofano necessariamente alto per via dell’ingombro del motore a corsa lunga e della distribuzione ad aste e bilancieri”.