Sempre estremamente aggressiva, sempre ambitissima, la “Miura” stupisce oggi come quarant’anni fa: per lei il tempo si è fermato. La sua capacità di far girare la testa a chiunque, in tutti i sensi, è ineguagliata. Questa poi, con 400 CV, su strada è impossibile spingerla al limite.
Capita spesso di provare auto che sono state il sogno di generazioni passate e che oggi incantano gli appassionati, ma la “Miura” è davvero speciale. Questa poi è davvero unica: è l’ultima della serie, è autografata da Ferruccio Lamborghini e ha alcune caratteristiche peculiari.
Per entrare nell’abitacolo basta lasciarsi cadere sul sedile, abbassando la testa. Gli interruttori sono quasi tutti sull’imperiale, al centro del padiglione; cambio, alzavetri, alzafari e poco altro sono sul tunnel centrale. La visibilità è buona davanti e ai lati, ma anche dietro è meno critica di quanto sembri. Si gira la chiave, si attende qualche secondo che le pompe elettriche abbiamo riempito i carburatori e si mette in moto: a questo punto vien voglia di gridare di gioia. Perché ci sono dodici cilindri, quattro carburatori e 400 CV a due dita dalle orecchie.
La frizione è ovviamente dura, ma non durissima, mentre il cambio è da veri uomini: indecisioni e movimenti lievi sono assolutamente fuori luogo. Lo sterzo è diretto, preciso, non risente delle sconnessioni ed è giustamente consistente, ma non troppo pesante. Il tachimetro con fondo scala a 320 km/h fa sempre un certo effetto, anche perché parte da 40: a velocità più basse la “Miura” ritiene di essere ferma. I suoi cavalli, combinati con un peso di nemmeno mille chili, potrebbero dare grossi dispiaceri anche a molte supersportive dell’ultima generazione.
In pista ogni traiettoria è una fonte di piacere, anche perché non si arriva alle velocità che alleggeriscono l’avantreno. E in strada tutti si voltano a guardarla.