Con la Ferrari 400 Superamerica si delineava ufficialmente un nuovo corso stilistico frutto del felice binomio tra la Casa di Maranello e la Pinin Farina. Il modello al vertice della gamma Ferrari portava in dote un nuovo motore V12 da quattro litri e si caratterizzava per una silhouette sfuggente: nella denominazione ufficiale venne quindi indicata come “Ferrari 400 Superamerica Coupé Aerodinamico”.
Nel vivace susseguirsi di modelli e varianti realizzate artigianalmente, non era affatto inusuale che gli stilemi di un nuovo modello “di serie” fossero ripresi dalle soluzioni più ardite ed intriganti delle vetture fuoriserie. A maggior ragione quando si parlava di prestigiose granturismo. Nel caso specifico, tra la fine degli anni 50 e i primi 60, sono state molteplici le “contaminazioni” tra le Superamerica, le Superfast e le creazioni uniche su base 250 GT. Tra queste, una delle interpretazioni più eleganti è la Coupé Speciale, molto simile alla successiva Ferrari 4,9 Superfast (su base 410 Superamerica). L’auto venne realizzata nel 1957 per il Principe Bernardo d’Olanda, che all’epoca era uno dei clienti più affezionati di Casa Ferrari.
Nel 1960 nuova 400 Superamerica segnò un ulteriore evoluzione nel linguaggio stilistico di casa Ferrari, il nuovo “Coupé aerodinamico” reinterpretava l’idea del granturismo classico con linee molto più rastremate e sensuali.
Cambio di passo. Dopo l’uscita di scena dei modelli della famiglia “410”, la nobile progenie proseguì con la Ferrari 400 Superamerica del 1960 presentata, anche in questo caso, al Salone di Bruxelles.
La nuova vettura top di gamma venne anticipata dal prototipo “Superfast II” realizzato da Pinin Farina su un pianale ulteriormente accorciato (2400 mm). Sui modelli di produzione realizzati da Pinin Farina, la 400 Superamerica e le fuoriserie 400 Superfast, il passo tornò ufficialmente ai canonici 2600 mm, sebbene alcuni esemplari sono stati realizzati sul telaio più compatto. Ogni esemplare, è bene ricordare, è diverso dall’altro.
Una bella novità. La denominazione “400” era foriera di importanti cambiamenti, in primo luogo per il fatto che indica la cilindrata complessiva di quattro litri (3.967 cc) e non quella unitaria. Il propulsore, sviluppato da Gioacchino Colombo, prevedeva una distribuzione con un albero a camme in testa per bancata e due valvole per cilindro. Rispetto alla 410 Superamerica, la 400 raggiungeva una potenza inferiore, 340 CV contro 370, erogata a 7.000 giri/min ma nel complesso le prestazioni risultarono leggermente migliori, con una velocità di punta pari a 265 km/h. Il cambio era un quattro marce con overdrive dotato di frizione a secco.
Per quanto concerne il telaio, la Ferrari 400 Superamerica era equipaggiata con dei nuovi ammortizzatori telescopici che sostituivano i precedenti a leva. Inoltre, poteva contare su un impianto frenante con freni a disco sulle quattro ruote sviluppato dalla Dunlop.
La Superamerica dell’Avvocato. Il nome “400 Superamerica” accompagnò, già nel 1959, anche la speciale coupé commissionata da Gianni Agnelli. L’Avvocato, desideroso di una granturismo prestante ma che desse poco nell’occhio, optò per una carrozzeria a tre volumi piuttosto tradizionale nelle proporzioni, con un grande radiatore quadrato sul frontale e quattro fari circolari. Unico “guizzo” il parabrezza avvolgente che riprendeva lo stile americano del tempo. L’esemplare, privo di stemmi, poteva apparire come un modello di prestigio di qualsiasi altro marchio: dal prototipo di qualche Fiat di alta gamma ad una esotica vettura americana. Un parallelo che, mezzo secolo dopo, l’ironia della sorte ha reso possibile con l’alleanza Fiat-Chrysler, ma questa è un’altra storia…
Coupé Aerodinamico. La Superfast II, si caratterizzava per la linea aerodinamica: molto più affusolata e sfuggente rispetto alla precedente 410 Superfast che, pur estremizzata in certi passaggi, era legata ai canoni stilistici degli anni 50. Anche in questo caso, la carrozzeria verniciata in bianco era un ulteriore indizio dell’unicità del modello.
Il muso molto basso e i fari a scomparsa rappresentarono un passaggio chiave nel design che avrebbe caratterizzato i modelli a venire. I fari a scomparsa del prototipo, tuttavia, vennero rimpiazzati da quelli carenati della sua naturale trasposizione commerciale: la 400 Superamerica e delle fuoriserie, quest’ultime disponibili dall’ottobre del 1962. Alcuni esemplari, vennero realizzati anche con i classici fari circolari, non carenati.
Rare e preziose come gemme. Si ritiene che l’esemplare dimostrativo della Superfast II sia stato rimaneggiato dalla Pininfarina, dando vita alla Superfast III presentata al Salone di Ginevra del 1963. La vettura venne accompagnata da una radicale trasformazione del padiglione, che coincise con l’adozione di una finestratura più ampia e la soppressione del montante centrale. In vista laterale spiccava l’allungamento della nervatura del passaruota anteriore. Nuove anche le caratteristiche prese d’aria sulla fiancata. Lo stesso esemplare potrebbe essere stato modificato una terza volta, dando vita alla Superfast IV, che nella variante di produzione, disponibile sino alla fine del 1963, è stata realizzata in pochissimi esemplari. Al posto dei fari a scomparsa, vennero installate due coppie di fari, simili a quelli della 330 GT 2+2, così come venne modificata la parte posteriore del padiglione, nella zona del lunotto.
In totale si contano una quarantina di fuoriserie derivate dalle showcar 400 Superfast, suddivise in 14 Superfast II, una ventina di Superfast III e cinque (o sei, secondo alcuni) Superfast IV.