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Fiat 130, i 50 anni di un’ammiraglia in abito da sera

Raffinata, elegante e ricercata, come piaceva all’Avvocato Agnelli. A cinquant’anni dal debutto, ecco perché la Fiat 130 non riscosse il successo sperato.

Per comprendere le ragioni della nascita della Fiat 130 bisogna tornare indietro ai primi anni 60. È in questo momento storico, infatti, che avviene il grande passo: la Casa torinese, per tradizione votata alla produzione di auto economiche, decide di avventurarsi su un terreno nuovo. L’idea, ai piani alti del Lingotto, è quella di offrire agli automobilisti italiani più facoltosi un’alternativa alle grandi berline di lusso tedesche, divenute nel frattempo un vero e proprio status symbol nel nostro paese.

La firma del Cavallino. Con questi questi presupposti, la Fiat dà l’avvio al progetto della X1/3, una vettura elegante e signorile pensata per raccogliere il testimone della gamma 1800/2100/2300. Per ottenere un prodotto d’alta gamma, la sinergia con la Ferrari si rivelerà strategica. Dall’accordo tra Torino e Maranello nasceranno due sportive con motore V6, prima la Dino Berlinetta Sperimentale carrozzata Pininfarina (1965) e poi la Fiat Dino, presentata prima in versione spider (1966) e poi coupé (1967). Nel 1969 il motore ricevette un aumento di cilindrata da 2 a 2,4 litri. Sarà quest’ultimo a equipaggiare un’altra iconica sportiva italiana, la Lancia Stratos.

La berlina del futuro. Intanto, a Torino, si continua a lavorare sull’ammiraglia: Aurelio Lampredi progetta uno schema a trazione posteriore con un motore 6 cilindri di 2,9 litri capace di 140 cavalli. L’accoppiamento è a scelta con una trasmissione automatica Borg-Warner a tre rapporti oppure con un cambio manuale a cinque marce. Il layout era completato con sospensioni a ruote indipendenti e freni con quattro dischi e servofreno.

Serve più potenza. Al Salone di Ginevra del 1969, la Fiat svela finalmente la sua nuova, sontuosa berlina. Si chiama 130, è lunga più di 4,8 metri. All’inizio, i giudizi sulla nuova nata sono però tutto fuorché lusinghieri: il design viene giudicato addirittura “barocco”, la potenza e le prestazioni non adeguate alla classe della vettura. Il primo tentativo di ribaltare l’opinione degli automobilisti si concretizzò in un intervento sul motore, che a un anno dal lancio ricevette un incremento di potenza fino a 160 CV.

La coupé è una piccola Rolls-Royce. Per ampliare l’offerta, nel 1971 fu lanciata anche una versione coupé. Il disegno di Paolo Martin per Pininfarina è molto elegante, tanto che in futuro ispirerà un altro capolavoro del designer torinese: la coupé Camargue (1975), prima e unica Rolls-Royce disegnata da un italiano. Per la Fiat 130 Coupé fu previsto un motore con una cubatura maggiore, 3,2 litri, ma con una potenza di 165 CV, appena cinque in più rispetto al 2900. La nuova unità fu poi installata anche sulla berlina.

L’abito (non) fa il monaco. La Fiat 130 fu prodotta fino al 1977: 15.093 esemplari berlina e 4.291 coupé. Il suo scarso successo commerciale è da imputare principalmente a due fattori. Prima di tutto la crisi petrolifera: non era decisamente il momento migliore per vendere una vettura assetata come la 130. E poi la percezione che il mercato aveva del marchio Fiat, inesorabilmente ancora legata a un’immagine di costruttore di auto a basso costo.

La 130 dell’Avvocato. Discorso a parte meritano le versioni speciali della Fiat 130, modelli prodotti in tiratura limitatissima e a volte persino in esemplare unico. La più famosa è forse la giardinetta, costruita dalla carrozzeria Introzzi di Como in un lotto di quattro pezzi destinato alla famiglia Agnelli. Il primo esemplare, denominato Villa d’Este e verniciato in grigio argento, fu utilizzato personalmente dall’Avvocato durante i suoi soggiorni a St. Moritz.

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