La storia d’amore tra l’Alfasud e il giovane medico avellinese Filippo Di Ninno comincia nel 1986, a pochi giorni dalla sua nascita. Il primo viaggio insieme, dall’ospedale dov’è nato a casa, è sulla terza serie 1.5 blu Posillipo di famiglia. Ma è solo l’inizio di un’avventura incredibile che continua ancora oggi…
Si sa, tutti noi abbiamo nostalgia della nostra infanzia. E tra le tante cose che ricordiamo con affetto, ci sono spesso le automobili dei nostri genitori e nonni, che ci hanno accompagnato nei primi viaggi, nelle mattine di scuola e nelle gite della domenica.
La prima volta. Sono nato nel 1986, quando l’Alfasud era ormai fuori produzione da qualche anno, ma il primo viaggio della mia vita, dall’ospedale di Avellino a casa, l’ho fatto proprio sul sedile posteriore di questo modello, una terza serie 1.5 (rara sin da nuova!) acquistata nuova da mio nonno e poi passata a mio padre.
Un amore totalizzante. Sin da piccolino non ho mai avuto occhi per nessun’altra macchina. Mi risultava difficile salire sulla Mini di mia nonna o sulla Renault Supercinque dei miei genitori, e ho imparato a dire il nome “Alfasud” quando i miei coetanei non sapevano ancora pronunciare correttamente la parola “macchina”.
La più potente. Mio nonno, poco dopo avermi insegnato a contare fino a 5, mi fece vedere la sigla della cilindrata e mi spiegò che era la più potente di tutte: da allora, ogni volta che vedevo un’Alfasud, andavo a leggere dietro e sapevo che quelle con il 2 alla fine erano meno belle di quella di papà…
È già l’ora dei saluti. L’Alfasud, però, durò molto meno della mia infanzia. Nel 1992 mio padre comprò una nuovissima Audi 80 1.9 TDI, verde, lucida e bellissima. Entrarci dentro fu, per me, come entrare in una casa di lusso. L’Alfasud, complice l’affetto che mio padre continuava a provare per lei, rimase a casa per molti mesi ancora fino a quando, di fronte a un’offerta molto allettante, decise di venderla.
Tu, proprio tu… Ma l’Alfasud non venne dimenticata: vederne qualcuna in giro me la faceva sempre guardare con affetto e nostalgia. Il triste epilogo di questa storia d’infanzia arrivò nell’estate del 2000 quando ormai adolescente, a 14 anni appena compiuti, con il mio scooter passai accanto all’autodemolizione del mio paese. Fu lì che la rividi, senza targhe, già ragnata dal demolitore. La riconobbi dall’adesivo “bimbo a bordo” che mio padre appiccicò sul baule quando nacqui io. Presi dal sedile il comprimozzo del volante, come ricordo.
Anche sulla mensola e in libreria. Col passare degli anni pensavo sempre più spesso all’Alfasud, e capii che non sarebbe mai potuta uscire dalla mia vita. Nel 2003 la rivista Quattroruote pubblicò un inserto sulle Alfa Romeo, dalla 1900 alla 147 GTA, e aprendolo, la prima macchina che andai a cercare fu l’Alfasud. Era la prima volta che leggevo un articolo su quel modello, e fu una grande emozione. Due anni più tardi mi iscrissi all’università, iniziai a frequentare i corsi di Medicina e, a febbraio 2006, dopo il mio primo esame, mio padre mi regalò un modellino Minichamps in scala 1:43 dell’Alfasud TI prima serie. Un regalo stupendo che conservo molto gelosamente.
Certi amori prima o poi ritornano. Nel 2007, finalmente, coronai il sogno dell’auto d’epoca: ovviamente Alfa Romeo, un’Alfetta 1.6 che pareva nuova, cui seguì, l’anno successivo, una splendida Alfetta GT 1.6. Avevo 22 anni e andavo in giro con due splendide auto d’epoca, un sogno realizzato, eppure di lì a poco gli amori d’infanzia avrebbero ripreso a tormentarmi. Il primo club a cui mi iscrissi, il Green Racing Club di Avellino, ironia della sorte era (ed è ancora) presieduto da una persona che col tempo è diventata un amico e che, all’epoca, guidava un’Alfasud Quadrifoglio Verde, rarissima e stupenda, che mi faceva impazzire.
Letture appassionanti. Iniziai a frequentare forum su internet, e non rimasi così sorpreso di vedere che la piccola Alfasud, che per anni era stata vituperata e messa spesso da parte nell’universo Alfa Romeo, suscitasse tanto interesse, così come le derivate 33 e Arna. Ricordo una sera del 2008 in cui, passeggiando per le vie di Foggia dove vivevo da due anni per l’università, vidi in vetrina un numero di Ruoteclassiche con un’Alfasud rossa in copertina. Penso di aver finito di leggere quell’articolo mentre ancora camminavo sul marciapiede, e davvero non so come non sia finito investito sulle strisce pedonali o come sia riuscito a rincasare senza sbagliare strada…
Non è ancora il momento. Iniziai così a guardare le auto in vendita sul web. L’Alfasud, dopo anni di oblio, stava tornando a essere considerata come meritava, e gli annunci spuntavano come funghi. Non tutte quelle in vendita erano in buone condizioni, ma i prezzi restavano sempre molto abbordabili anche per gli esemplari migliori. Ogni tanto qualche auto “papabile” saltava fuori, ma alla fine prevaleva il buon senso. Le domande che mi ponevo erano sempre le stesse: dove la metterò? quanto mi costerà mantenerla? quanto sarebbe stato alto il rischio di portare a casa un catorcio imbellettato ad hoc che sarebbe stato poi la mia rovina? Decisi che per il momento era il caso di lasciar perdere.
Toh, chi si (ri)vede! Oltretutto, nonostante mio padre fosse ancor più convinto di me a portarne una a casa (voglia di ritrovare la sua giovinezza all’alba dei suoi 50 anni?), bisognava fare i conti col resto della famiglia, che magari avrebbe avuto qualcosa da ridire. Un giorno del tardo autunno del 2010, spunta fuori un annuncio allettante, la classica auto per la quale – chi è del settore lo sa bene – non ci si pone più tante domande inutili. L’Alfasud in vendita era una quasi gemella della nostra cara ex: quasi perché, a parte il trascurabile dettaglio della motorizzazione (1.2 e non 1.5), era identica a quella posseduta da mio padre. Blu Posillipo, interno beige, anno 1980.
Chi offre di più? Non c’era una richiesta, si parlava di “miglior offerente”. La macchina era vicino Matera, un viaggio decisamente alla portata per me, così decidemmo di fare tentativo, una telefonata. Dall’altro capo del telefono trovammo un ragazzo gentile che non sembrava avere richieste folli. Qualcuno si è già fatto avanti, ci spiegò, ma nessuna offerta concreta. La macchina era ben conservata, l’unico nodo da sciogliere era legato ai documenti, perché l’auto era intestata a una persona che viveva all’estero.
Torna a casa. Scoprii presto che la macchina non mi era nuova. Ricordavo di averla già vista nel 2006 in vendita su eBay, e mi era piaciuta così tanto che avevo salvato qualche foto dalla gallery dell’inserzione. Le ritrovai ed ebbi la conferma: era proprio lei! Passarono un paio di mesi, decidemmo di farci risentire, intenzionati ormai a concludere. La macchina era sempre lì, c’era da fare un doppio passaggio di proprietà a carico nostro e da accordarsi sul prezzo. Arrivammo in un paesino sulle montagne lucane, vicino Pisticci. Fu sufficiente una rapida occhiata, la macchina era bella esattamente come in foto. Dopo neanche un’oretta era mia: a quasi vent’anni di distanza l’avevamo riportata a casa…
Nuovi amici. Con l’Alfasud sentivo d’aver chiuso il cerchio, di non avere più desideri a quattro ruote. Ero felice, ma ancora non sapevo che l’arrivo di quella vetturetta sarebbe stato solo l’anticamera di mille nuove avventure. La prima uscita memorabile fu per un evento epocale, nel 2012, per i 40 anni dell’Alfasud. Per l’occasione fu organizzato dal club Alfissima uno splendido raduno a Pomigliano D’Arco, con ingresso allo stabilimento e giri della pista di collaudo. Fu proprio lì che conobbi gli amici dell’Alfasud Club Italia, di cui divenni socio quello stesso giorno (tessera numero 8, una delle prime dopo quelle dei fondatori).
Come bere un bicchere d’acqua. A settembre, poi, partecipai al primo raduno nazionale del club, che venne organizzato nella capitale insieme al club Alfaroma. La prima vera grande avventura con la mia Alfasud l’ho vissuta, insieme a mio padre, onnipresente in queste occasioni, nel 2014, in occasione del terzo Raduno Nazionale dell’Alfasud Club Italia. Quell’anno venne organizzato sulle Dolomiti, visitando i luoghi del Vajont e proseguendo per Cortina D’Ampezzo, i Laghi di Misurina, passando per il passo Giau e il San Pellegrino, fino a giungere a Moena. Il viaggio durò tre giorni, più di duemila chilometri, che l’Alfasud percorse in scioltezza, senza alcuna esitazione. Venni anche premiato come il socio proveniente da più lontano.
Sì, viaggiare. L’anno successivo, nuova splendida esperienza. Partenza da Roma a mezzanotte con gli amici del club Alfaroma per partecipare al raduno per i 30 anni della 75 e i 50 della Giulia GTA, raduno RIAR – di cui Alfaroma era club organizzatore – arrivo alle sette del mattinoo ad Arese, ritrovo con giri di pista sul circuito dell’ex stabilimento di Arese e poi, nel pomeriggio, di nuovo in macchina per raggiungere gli amici dell’Alfasud Club Italia, passando per il passo del Tonale (un nome ora legato al marchio Alfa che sta facendo il giro del mondo…) per giungere a Pontedilegno. Da lì, Bormio, passo dello Stelvio, Livigno, Canton Grigioni, Saint Moritz e rientro in Italia per arrivare al Lago di Como. Quattro giorni di viaggio e oltre 3000 chilometri.
Vita da star. Un raduno i cui echi sono giunti in tutta Europa è stato, però, quello del 2016. In quell’occasione visitammo il Museo di Arese per poi proseguire a Torino per la visita al Mauto. In quella circostanza celebrammo i 40 anni dell’Alfasud Sprint, coupé su base Alfasud che rimase in produzione fino al 1989. Nel 2017, invece, grazie al club Cinemalfa, la mia Alfasud venne scritturata tra le protagoniste di un programma della BBC, Carnation, e venne guidata da Paul Hollywood per alcune scene girate a Maranello. Dopo il raduno della regione del Chianti dello scorso anno, l’Alfasud Club Italia si è distinto anche per un raduno ad iniziativa benefica per le regioni colpite dal terremoto del 2016, organizzato insieme al Registro Nazionale Fiat Ritmo.
Grazie a tutti! Avventure splendide, che mi hanno aperto un mondo che va ben oltre la semplice passione automobilistica. Per tutto questo sarò eternamente grato a mio padre, che mi ha accompagnato in tutte queste avventure, e a Eugenio, il presidente del mio Club di Avellino, il Green Racing Club, grande estimatore di Alfa e in particolare della famiglia Alfasud. Ma anche agli amici di Alfaroma, il cui gruppo fondatore è stato tra i primi ad aver avuto il merito di sdoganare tra gli appassionati la produzione Alfa Romeo con motore boxer, in un’epoca in cui erano difficilmente considerate auto storiche. E ancora, l’ultimo club di cui sono diventato felicemente socio, Cinemalfa, che unisce la passione per il cinema a quella dell’auto e che mi ha permesso di finire diverse volte sullo schermo. Grazie, infine, ai miei compagni d’avventura dell’Alfasud Club Italia, e al presidente del sodalizio, Luigi, che ha fondato dal nulla questa realtà facendola diventare un riferimento tra gli appassionati di questa splendida auto, portando l’Alfasud su un palcoscenico europeo qual è la fiera di Padova, in cui siamo presenti come club da ben cinque anni.
Testo di Filippo Di Ninno, foto di Giuliano Fabbrini e Antonio Russo