Certe volte, nonostante la ricetta sia stata eseguita seguendo con attenzione tutti i passaggi, dosando alla perfezione gli ingredienti, il risultato non è quello sperato, o, perlomeno, se si trattasse di una torta, non riesce a ingolosire abbastanza clienti. Trasportiamo il tutto in chiave automobilistica e ci troviamo di fronte alla storia della Ford Puma, coupé sportiva della seconda metà degli anni 90, dalla carriera non troppo fortunata.
Arriva tardi e vende poco. Che esistesse un mercato per le piccole coupé lo aveva dimostrato Opel con la Tigra e Ford, seppure in ritardo (arriva sul mercato nel 1997), imita l’idea, partendo dalla Fiesta e dando vita alla Puma, nome che, curiosamente, è la traduzione di Cougar, ben più sfortunata sorella maggiore. Puma, inoltre, è un felino proprio come indica la sua concorrente diretta, ma, per quanto riguarda le vendite, non c’è storia e la rivalità muore sul nascere: basti pensare che ne verranno prodotte praticamente la metà: 133 mila esemplari contro oltre 256 mila.
Linea incisiva e personale. Eppure la Puma non ha nulla da invidiare alla rivale Opel: il design è molto originale, con un’alternanza di linee tondeggianti tipiche degli anni 90 e dettagli più incisivi e scavati, con i gruppi ottici anteriori e posteriori che segnano uno stacco decisamente interessante e innovativo. Non mancano particolari caratterizzanti pure nell’abitacolo, che non si limita a riprendere in toto quello della Fiesta, ma si permette finezze come il pomello del cambio e alcuni elementi della plancia a contrasto, oltre alla strumentazione con fondo bianco.
Il 1.7 “by Yamaha” è un gioiellino. Alla voce motori, la Puma propone di base un 1.4 da 90 CV (proprio come la Tigra), ma rilancia con un 1.7 16 valvole con fasatura variabile, interamente di alluminio, realizzato in esclusiva per la piccola coupé e sviluppato in collaborazione con la Yamaha. Presenta particolarità come la placcatura delle canne dei cilindri di Nikasil, una lega di nichel e silicio che permetteva di raggiungere regimi di rotazione più elevati e di avere minori attriti tra le parti in movimento e alberi motore specifici. Il risultato erano 125 CV, una velocità massima di 203 km/h e uno 0-100 km/h 9,2 secondi: numeri assecondati anche dal telaio, dotato di barre antirollio più spesse, molle più rigide e pneumatici 195/50VR15.
Si esalta tra le curve. Non mancavano Abs e controllo di trazione, a dimostrazione che la Ford non aveva badato a spese per la versione top di gamma, capace di rivaleggiare come guida con le utilitarie più sportive dell’epoca. Insomma, un successo annunciato e, invece, nonostante tutte queste qualità, il ritardo di tre anni rispetto alla Tigra – e un mercato nel quale era aumentata la concorrenza – si rivela un ostacolo per la vita commerciale della Puma. Il restyling del 1999 porta in dote la terza luce stop, nuovi tessuti per gli interni e dischi freno maggiorati, ma nel 2002 è già tempo di mettere la parola fine. Oggi, una Puma – meglio puntare decisamente sulla 1.7 – vale tra i quattromila e i cinquemila euro e, se ancora si nutrono dei dubbi, è sufficiente ricordare che la stampa specializzata, ai tempi, la ricoprì di premi ed elogi, peraltro meritati.