Una bella sintesi tra il passato importante in F.1, uno sguardo al futuro e un’ottima occasione per gli appassionati. Questa è stata, soprattutto, la terza edizione dell’Historic Minardi Day a Imola, una sorta di “ponte” temporale e sportivo che fa bene a chi ha cuore il motorsport a tutto tondo. E in cui, a farla da padrone, sono stati soprattutto i decibel degli scarichi e il profumo delle benzine ben dotate di ottani. Niente rifiuto della modernità e dello sviluppo delle nuove frontiere (elettriche), ci mancherebbe, tanto è vero che ai box, tra tante veterane, c’era pure la Mahindra di Formula E di Nick Heidfeld. Ma neppure la demonizzazione di quanto è stato e rimane bello da ascoltare e toccare, finalmente da vicino. Oltre novemila, infatti, gli spettatori nei due giorni, a dimostrazione di un interesse crescente per le manifestazioni realizzate così, con passione. E un bel riconoscimento a uno dei più importanti impianti in Italia.
Gian Carlo Minardi, un pezzo di storia della Formula 1, dal 1985 al 2005. E un signore, sempre disponibile con tutti. È lui, ovviamente, il deus ex machina dell’evento, una manifestazione verace e aperta, dai tanti punti forti. Lo abbiamo incontrato ai box dell’Autodromo di Imola.
Minardi, come sta andando questa terza edizione?
Mi sembra bene, siamo work in progress, stiamo facendo piccoli ma importanti step e mi sembra che i tanti appassionati accorsi, anche stranieri, lo dimostrino.
Quante monoposto di Formula 1 avete quest’anno?
Sono tre o quattro, purtroppo non è presente l’olandese Frits Van Eerd, impegnato nel campionato Wec a Spa: è uno dei più grandi collezionisti di Minardi al mondo. Bisogna pensare che, in tutto, ci saranno circa venti Minardi di F.1 funzionanti. Qui, però, ci sono tanti piloti che hanno corso per me, come Pierluigi Martini, ma pure amici come l’ingegnere Gabriele Tredozi. E poi c’è la collezione della Scuderia Toro Rosso.
Come sono i rapporti tra di voi?
Buoni, tanto che qui a Imola hanno portato delle vetture. Sono contento delle parole dette da Franz Tost, Team principal della Scuderia: cioè, che senza la Minardi la Toro Rosso non sarebbe mai esistita. La loro sede è nello stesso posto dove eravamo noi, ma in una struttura nuovissima. In quella vecchia sono custodite le monoposto del passato, e io spero che si possa farne un museo. Sono una trentina, dalla F.2 del 1980 all’ultima F.1 del 2005.
C’è qualcuno dei suoi piloti che ha più nel cuore?
Beh, sarebbe facile dire Pierluigi Martini, che ha disputato 103 G.P. con me. Ma sono tutti figli miei, in egual misura hanno contribuito alla storia della Minardi.
Ci sono però oggi anche tanti piloti che non hanno corso per lei…
Sì, come Bruno Giacomelli, Riccardo Patrese, Giorgio Francia e altri, e questo dimostra l’amicizia che c’è tra di noi.
C’è da sperare che un evento come questo, un po’ all’inglese, con gli appassionati che possono ammirare da vicino auto e piloti, possa avere in futuro sempre più seguito.
Gli italiani sono difficili da mettere in moto, ma poi non si fermano più. Speriamo che l’edizione 2018 possa rappresentare qualcosa da far crescere di anno in anno. Intanto è partita bene, anche come meteo. Io collaboro con Aci Sport, sono un loro testimonial per gli eventi italiani. Potrebbe essere un partner per il futuro.
Una battuta sul Campionato del mondo di F.1…
È di sicuro una stagione molto bella e combattuta.
E per quanto riguarda la Ferrari, c’è stata qualche occasione persa?
Fa parte del gioco, perdere punti quando si è più forti e magari guadagnarne in altre occasioni.
Andrea Stassano