Settant’anni fa arrivava il primo fuoristrada della Fiat. Nasceva dalle ceneri della Willys e guardava (con invidia) alla Land Rover. Amata da collezionisti di ieri e di oggi, non dovette affrontare le tempeste della guerra. Ma quelle della contestazione sì, e anche qualche tragedia nostrana. Tra esotici raid e caccia ai cibi genuini, entrò anche nel mito della RAI – Tv.
La amata Campagnola non ha sfidato la sorte sui campi di battaglia. Mentre Jeep e Land Rover, a cui pure la nostra si ispirava, schivavano le bombe in Indocina, Medio Oriente o nella desolata Irlanda dei tempi dell’IRA, le AR 51, 55 e derivate furono battezzate col fuoco tra le vetrine del centro delle città italiane, negli anni della contestazione più violenta. O come testimoni tardive, sui luoghi oscuri delle stragi di Stato. Senz’altro miglior ricordo lasciarono le Campagnole dei Vigili del Fuoco, quelle dell’Esercito che si mobilitava e dei reparti che allora svolgevano la funzione della Protezione Civile. Dal Vajont all’alluvione di Firenze, dal terremoto del Belice a quello del Friuli, dove furono affiancate dalle prime sorelle della nuova generazione. Tempeste senza stellette, ma pur sempre drammatiche.
Una situazione più complessa. A queste, per fare pathos, bisogna aggiungere alcune Campagnole esploratrici, che attraversarono foreste e savane, e quelle in tenuta da passeggio – non molte in verità – che furono acquistati dai privati. Proprio a questo pubblico, anzi più ai contadini che ai proprietari di tenute e case in montagna, il management Fiat destinò “ufficialmente” il nuovo modello. Lo ricorda Dante Giacosa nelle sue memorie, evocando il clima sociale dei primi anni ’50, con le ferite della guerra ancora aperte e il Fronte Popolare di Togliatti, che prima delle elezioni del’48 aveva fatto paura. “Si temeva che all’idea di un mezzo per le Forze Armate gli operai si rifiutassero di produrlo – raccontava il grande ingegnere. – Decidemmo di far passare il progetto come un sostegno all’agricoltura, un po’ come nella testa dei fratelli Wilks era stata la prima Land Rover. Solo che loro erano in buona fede, e il successo militare venne a sorpresa. Noi invece avevamo fiutato il bando della Difesa, che fu, di fatto, il vero committente”.
Strategie di marketing. Il nome stesso, “Campagnola”, fu scelto per rassicurare, mentre quello alternativo di “Alpina” – sicuramente più grintoso – avrebbe probabilmente scoperto le carte. Ciò detto, nel settembre del 1951, prima jeep torinese debuttò alla XV Fiera del Levante a Bari (altro strattagemma diplomatico), mentre in parallelo ci si preparava per le consegne all’Esercito.
Nel corso dell’anno avremo sicuramente occasione di ripercorrere, tecnicamente e umanamente, la parabola del primo fuoristrada italiano. In questa anteprima ci limitiamo a ricordare le vicende delle Campagnole della RAI che furono al seguito (o in avanscoperta) di una trasmissione televisiva entrata nella storia.
Tanto tempo fa, dunque, prima delle “prove dei cuochi”, prima delle “cucine del diavolo”, e prima anche di leccornie come l’agnello lessato al coriandolo, prodigio di qualche stellato, a parlare di cucina in tv c’era Mario Soldati. Amato scrittore, giornalista, regista e delizioso anfitrione, fu lui a inventare la televisione eno-gastronomica. Pochi di oggi ne hanno sentito parlare, perché la Rai nel frattempo è molto cambiata, ma “Viaggio nella valle del Po, alla ricerca di cibi genuini”, ha fatto conoscere – con un garbo oggi struggente – luoghi, opere e storie padane al resto del Paese. E, con lo stesso garbo, le ha mescolate ai menu dei ristoranti più veri, alle ricette più segrete, alle bottiglie più inaspettate e a quella “salama da sugo” che è rimasta celebre e si può ancora ammirare a https://www.youtube.com/watch?v=5pOHQxNFznk.
Soldati è piacevolissimo da seguire anche a distanza di sessant’anni, negli studi televisivi e nelle grotte dove stagionano i formaggi, nella fabbrica della mortadella o tra i vitigni del Lambrusco. E lo è altrettanto a bordo della Fiat Campagnola che guidava la troupe televisiva che gli era accanto per realizzare il programma. La carovana era, in fondo, un’altra protagonista del racconto, con i suoi mezzi tecnici scintillanti, magici agli occhi di un Paese che aveva appena scoperto il piccolo schermo e viaggiava, perlopiù, ancora in due ruote.
Il successo che non arrivò. Accanto alle esplorazioni caserecce di Soldati, che pure si spingevano talvolta su mulattiere lontane dalle anse del Po, ci furono alcune gesta esotiche delle Campagnole da propaganda. Per accrescere la popolarità del nuovo mezzo, e seguendo l’esempio con cui l’Alfa spingeva la sua sfortunata “Matta”, Fiat allestì due mezzi particolari, costruiti per battere il record di un raid allora ben noto: la Algeri-Città del Capo. lI pilota Paolo Butti e la sua squadra impiegarono nel viaggio di ritorno 11 giorni 4 ore e 54 minuti, un record tuttora imbattuto, complice lo status quo africano, oggi sempre meno “turistico”. Il grande Safari non ebbe comunque l’effetto sperato sulle fortune dei concessionari: principalmente per il costo – paragonabile a quello di una grossa berlina – il fuoristrada della Fiat rimase un oggetto per pochi: 40.000 esemplari in tutto, contro il milione di pezzi della Land Rover, unico concorrente degli stessi anni.