Quasi nessuno sa che tra i primi progetti della neonata Italdesign ci fu anche una tripletta di vetture per il mondo comunista: le Skoda serie W720, che iniziarono a prender forma nel 1969. Se fossero andate in produzione avrebbero rivoluzionato gli standard delle auto d’oltre cortina. Ma il vento delle steppe e la Guerra Fredda congelarono tutto sul nascere.
Si sa che le buriane che vengono dall’ Est portano neve e gelo paralizzanti. E forse non fu una buona idea battezzare “Buran” la navetta spaziale sovietica, che doveva rivaleggiare con lo Shuttle americano e il cui progetto finì invece congelato. Ma questa è un’altra storia.
Una tempesta dei primi anni Settanta, venuta dalle steppe, ibernò quella che avrebbe dovuto essere la prima Skoda veramente moderna, e il primo progetto Italdesign per un futuro marchio del Gruppo Volkswagen. La storia tra Torino e la Cecoslovacchia prese infatti avvio all’inizio del 1969, con diversi mesi di anticipo sui contatti che avrebbero portato alla Passat e alla Golf . Ma andiamo con ordine.
Produzione d’oltrecortina. Nello scacchiere comunista Praga si era guadagnata un posto nella produzione e l’esportazione di automobili, la cui diffusione – val la pena ricordarlo – non era concepita per tutti. Limiti produttivi e ragioni ideologiche facevano sì che possedere una Trabant o una Skoda 1000 fosse ancora, alla fine degli anni Sessanta, un traguardo sudato, il sogno di una nuova generazione, lento e difficile da raggiungere. Tuttavia, anche nell’Europa dell’Est, ci si stava attrezzando per concedere le quattro ruote a un numero sempre maggiore di cittadini, rompendo con i modelli pauperistici e imbarazzanti giudicati fino ad allora più che sufficienti. Fu così che tra il ’66 e il ’67 gli ingegneri della Skoda cominciarono le valutazioni su una vettura completamente nuova, secondo le correnti più moderne della progettazione con prestazioni e confort occidentali o quasi. Lo schema era “tutto avanti”, a due volumi, cinque porte, con un motore di un litro e mezzo. Rispetto a tutto quanto circolava oltre cortina – comprese le nuovissime 124 “Zhiguli” fabbricate a Togliatti – una rivoluzione.
La primavera di Praga. I prototipi della nuova Skoda però avevano gravi problemi di rigidità torsionale e anche l’estetica lasciava a desiderare. Nel febbraio ’68 si ricominciò quindi tutto da zero, con l’ingegner Jan Záček impegnato a sviluppare da subito una berlina, una station wagon e addirittura un coupé. Il vento nascente della primavera di Praga illudeva i progettisti che un nuovo mondo e un libero mercato si sarebbero presto spalancati, per accogliere una gamma ampia e quasi leziosa. Ma invece del mercato arrivarono i carri armati sovietici e per un annetto a Praga ebbero altro a cui pensare. In piena normalizzazione, qualcuno non si perse d’animo e pensò di chieder lumi a uno nuovo studio torinese specializzato non solo nello stile, ma anche nella ingegnerizzazione delle scocche.
La collaborazione con Torino. Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani furono quindi convocati alla Skoda, iniziarono subito a lavorare presentando anche loro bozzetti per tre versioni del progetto W720 ID-1: berlina, station wagon e una coupé fast-back. Tutte potevano disporre di un motore 1500 da 84 cavalli e di un nuovo 1200 da 66. Il progetto fu accolto con favore, modificato marginalmente e nel 1970 i prototipi avevano già coperto 60.000 chilometri. Il planning procedeva bene e si pensava di andare in produzione nel 1973. A Torino il grosso della commessa era stato completato e come sempre succede si stava già pensando ad altro. C’era il progetto Alfasud in pieno svolgimento e dalla Volkswagen era arrivata anche la famosa telefonata. Complice l’alone di mistero che aleggiava su ogni affare che riguardasse i Paesi dell’Est, Giugiaro e Mantovani non diedero peso al silenzio che nel ’71 cominciò a circondare l’affare Skoda.
L’asse orientale. Ma oltre la cortina di ferro, gli ingeneri di Mlada Boleslav non dormivano sonni tranquilli. La Cecoslovacchia, con la sua eroica insurrezione, aveva stabilito un precedente gravissimo e stava pagandone le conseguenze. La stretta di Mosca, attraverso i piani del Comecon, arrivò chiarissima, degradando l’industria automobilistica ceca a subalterna di quella della tedesca. D’ora in poi, tutti i progetti per nuove vetture sarebbero stati coordinati con Berlino Est e la W720, nata prima e in autonomia non avrebbe mai visto la luce. Aldilà delle punizioni inflitte alla Cecoslovacchia ribelle, pare che a innervosire il Cremlino fossero anche le qualità della nuova Skoda firmata Giugiaro, mai viste su un’auto dell’era comunista, dalla piccola Zhiguli alle funebri Volga nere del KGB