Troppo tempo era passato, troppe carrozzerie erano cambiate: nessuno ricordava più l’originale. Così i proprietari, procedendo al restauro, hanno scelto la più nobile, quella che aveva caratterizzato il modello nella vittoriosa gara di Le Mans 1950. Il nostro esemplare, ultimo di una serie di sei, è stato “barchetta”, vettura per le gare su ghiaccio e infine rottame.
Sono state solo sei le “T 26 GS” costruite dalla Talbot-Lago. La prima, motore sei cilindri, 4500 cm³ di cilindrata e cambio a preselettore, vince la 24 Ore di Le Mans del 1950 guidata da Louis Rosier. Ma l’anno dopo la Casa francese inizia il suo declino. I successivi quattro esemplari sono venduti per recuperare un po’ di denaro e l’ultimo dei sei, la vettura del nostro servizio, ha una storia particolare.
Allestita nel 1951 per correre la “24 Ore” del ’52, viene ultimata, come da nuovo regolamento, con una carrozzeria avvolgente e ruote coperte. Si ritira alla tredicesima ora per un guasto alla pompa dell’olio, ma alla 12 Ore di Reims dello stesso anno Guy Mairesse la conduce a un lusinghiero secondo posto. In seguito l’auto viene ceduta allo svedese Erik Carlsson che la utilizza, opportunamente modificata, per alcune gare sul ghiaccio. Viene poi abbandonata in un campo di demolizione in Svezia e ritrovata da un professore di Stoccolma. Uno studente svedese ne avvia il restauro e un avvocato inglese, Anthony Blight, nel 1971 ne rimaneggia carrozzeria, motore, frizione, tamburi e carreggiate. Insomma, un disastro. Dieci anni dopo i collezionisti Paul Grist e Keith Duly ne recuperano la meccanica e configurano la carrozzeria sul modello della vettura che uscì vittoriosa dalla 24 Ore di Le Mans nel 1950, ben diversa da quella che corre nel ’52.
La “T 26 GS” deriva quasi interamente dalla monoposto “T 26 GS”. Le differenze però sono numerose e riguardano la zona dell’abitacolo (da uno a due posti), la coda, con un serbatoio più basso e piatto che ha eliminato la tradizionale “gobba” dietro al pilota, l’aggiunta di una piccola porta sul lato sinistro (da regolamento) e della ruota di scorta sull’altro lato. Il motore è una evoluzione del “4500” del 1939, dotato però di distribuzione bialbero nel basamento; la potenza varia da 210 a 220 CV. Il passo è più corto di 30 cm, il gruppo motore-trasmissione viene disassato sulla sinistra di 50 mm e viene montata una dinamo per alimentare l’impianto di illuminazione.
Motore | Anteriore, sei cilindri in linea – Alesaggio 93 mm – Corsa 110 mm – Cilindrata 4482 cm³ – Potenza 210-220 CV a 4500 giri/min – Due alberi a camme nel basamento, valvole in testa, aste e bilancieri – Tre carburatori Senith-Stromberg EX 32. |
Trasmissione | Trazione posteriore – Frizione monodisco a secco – Cambio a 4 marce Wilson con preselettore al volante (in origine) – Pneumatici 5.25×18 anteriori, 7.00×18 posteriori. |
Corpo vettura | Carrozzeria biposto corsa in alluminio, con parafanghi – Telaio a longheroni – Sospensioni anteriori a ruote indipendenti, balestra trasversale inferiore e bracci triangolari superiori – Sospensioni posteriori a ponte rigido, balestre semiellittiche – Ammortizzatori idraulici – Freni idraulici a tamburo – Sterzo a vite senza fine. |
Dimensioni e peso | Passo 2500 mm – Carreggiata anteriore 1370 mm, posteriore 1300 mm – Peso 1050 kg (stimato). |
Prestazioni | Velocità a seconda dei rapporti (fino a 230 km/h). |