Per quanto armonioso e sportivo, il prototipo Zagato su telaio e motore GTV nuotava troppo controcorrente, in tempi di spigoli vivi e joint-venture produttive. E difatti nei primi anni Ottanta le preferirono l’Arna. Ne furono costruiti solo due esemplari.
La somma degli addendi Alfa Romeo, più Zagato, più anni Ottanta di solito porta alla SZ Coupé, svelata nel 1989, una quasi supercar rivalutatissima sul mercato del collezionismo. Qualche anno prima, nel 1983, aveva fatto parlare di sé un’altra coupé Alfa firmata Zagato. La Zeta 6 destò interesse per la compattezza della formula 2+2 e per il design che lascia liberi di pensare alla Giulietta SZ. Nel decennio stilistico delle linee tese e degli spigoli, la Zeta 6 era in totale controtendenza. La discendenza era, se non nobile, almeno di ottima famiglia, visto che era stata progettata sul pianale della GTV, che ad Arese aveva già dato ottime soddisfazioni di mercato. Il motore, neanche a dirlo, era il V6 a 60° Busso da 2.5 litri. La Zeta 6 fu un progetto finanziato dalla stessa carrozzeria di Rho e anche se non le furono riservati gli onori della produzione in serie, probabilmente contribuì a convincere i vertici del Gruppo Fiat a dare semaforo verde alla successiva Sport Zagato.
Niente da perdere, neppure la faccia. Quando Giuseppe Mittino, l’allora capo stilista della Zagato, coprì i pochi chilometri che separano la carrozzeria di Rho dal centro direzionale di Arese per sottoporre i bozzetti della “AZ6 Sperimentale”, per il Biscione correvano tempi strani e di profonda crisi. La nuova berlina alto di gamma, l’Alfa 6, si stava rivelando un flop commerciale. Nonostante gli elevati costi di produzione, la qualità delle auto che uscivano dai suoi stabilimenti era sotto gli standard riconosciuti all’Alfa Romeo, falcidiata dagli scioperi a raffica. I modelli che avevano tenuto a galla il baraccone di proprietà dell’IRI erano ormai obsoleti. In sostanza, c’era poco o niente da perdere nell’approvare la costruzione di un prototipo.
Diversa da (quasi) tutte. Che gusto ci sarebbe stato nell’affidare una sportiva a Zagato, senza che ne uscisse una vettura originale e straordinaria? Dal punto di vista strutturale, le modifiche si limitarono a un settaggio più sportivo delle sospensioni. Il V6 Busso garantiva già tutta la grinta per potersi divertire, soprattutto in una coupé due porte così compatta e alleggerita, grazie ai pannelli di alluminio della carrozzeria. Lo styling aveva mantenuto peculiarità da fuoriserie, con quelle linee tondeggianti, pulite e lisce, così insolite per i tempi tesi. Il rigonfiamento dei fianchi su tutta la lunghezza della Zeta 6 ne raccordava le sezioni anteriore e posteriore dal profilo generoso. Sull’abitacolo compatto spiccava, con discrezione, la classica doppia bolla Zagato. Ad alcuni, le forme della coupé ricordavano un’altra Porsche fuori dagli schemi come la 924/944. Specie il frontale, basso e stretto, che integrava una doppia coppia di fari rettangolari con lo scudo stilizzato al centro e il paraurti integrato nel corpo vettura. A rendere la Zeta 6 unica erano anche un paio di colpi di mano stilistici, come il cofano anteriore apribile in due parti distinte e le maniglie rotonde a filo, dotate di cinque fori per inserire le dita e sbloccare il fermo delle portiere. Una soluzione che può ricordare il selettore di una cassaforte, o il disco dei vecchi telefoni, che durò lo spazio del prototipo. Più convenzionali gli interni integralmente in pelle giallina chiara, che ricopriva i sedili uguali a quelli della GTV6, i pannelli porta e il cruscotto.
Dove si trovano i prototipi? Alla Zagato fanno sapere che, all’epoca, furono approntati i pezzi per la costruzione di tre vetture. Di due, si sa che sono in ottime mani. La coppia di esemplari costruiti, uno rosso e uno blu scuro, furono presentati distintamente al Salone di Ginevra e a quello di Torino nel 1983. Il primo si trova nella Collezione del Museo Alfa Romeo di Arese, il secondo in quella dell’architetto Corrado Lopresto. Non una “numero uno”, ma ci va vicinissimo. La Zeta 6 blu petrolio fu acquistata da Victor Gauntlett, allora amministratore delegato di Aston Martin. Gauntlett la cedette poi a George Livanos, il cognato del finanziere greco Onassis, che possedeva una partecipazione azionaria sia in Aston Martin, sia nella Zagato. “La mia Zeta 6 mi fu segnalata una quindicina d’anni fa da Simon Kidston, che allora dirigeva Bonham’s. L’aveva vista in una collezione in Inghilterra. La presi al volo”, racconta Lopresto. “Devo dire che, con la sua forma strana, negli ultimi tempi è quella che sul profilo Instagram della Collezione è stata più apprezzata, specie dagli under 40”. E la terza? Dei pezzi per costruirla non si ha traccia. Ecco del pane per i denti dei barnfinder…
In qualità di Affiliato Amazon, Ruoteclassiche riceve un guadagno dagli acquisti idonei