Nel sesto appuntamento con “Automobili nella tempesta”vi raccontiamo l’automobile come mezzo di comunicazione ripercorrendo l’iniziativa mediatica della Walt Disney per riaffermare la “grandezza” dell’America. Correva l’anno 1958…
Non molti ricordano che accanto ai meravigliosi personaggi animati, Walt Disney creò film dedicati al futuro dell’uomo, dell’abitare e persino dell’automobile. Uno di questi, in particolare, fu prodotto anche per ridare orgoglio a un’America colpita al cuore da una delle più fulminee tempeste della storia moderna. Una tormenta venuta dalle steppe dell’Unione Sovietica e che si chiamava Sputnik.
Status quo vacillante. Il lancio dello Sputnik, il 4 ottobre del 1957, precipitò gli Stati uniti nella più profonda costernazione. Dai generali del Pentagono alla casalinga di Milwaukee, l’idea che i terribili comunisti avessero spedito in orbita una palla d’acciaio che, ogni novantasei minuti, passava sulle loro teste, gettò la nazione nel caos. Le frontiere, le rassicuranti barriere di sempre erano state infrante e poco importava che il primo satellite artificiale fosse poco più grande di una palla da football ed avesse al suo interno solo una radio e una batteria per trasmettere.Nel giro di pochi giorni, tra cronache radiotelevisive degne di Orson Welles, assemblee in scuole, università e interrogazioni parlamentari l’America si sentì vulnerabile, umiliata, presa di sorpresa, e nemmeno il presidente Eisenhower – il generale che un decennio prima aveva vinto la guerra in Europa – riuscì ad essere convincente, nelle sue rassicurazioni e promesse di riscatto. Che peraltro arrivarono in pochi mesi, con il lancio del Vanguard e, tre anni dopo, del programma spaziale di Kennedy e Von Braun.
Le strade di ieri, oggi e domani. La tempesta non era comunque ancora passata quando, all’inizio del 1958, Walt Disney comparve su cinquanta milioni di teleschermi, negli orari di massimo ascolto, celebrando la grandezza dell’America non tanto nello spazio (lo aveva già fatto qualche anno prima con la serie dedicata ai viaggi interplanetari), ma sulla Terra, attraversando il Grande Paese, sulle modernissime autostrade che stavano cambiando il paesaggio americano. Uno spettacolo in puro stile Disney, ma con l’automobile, di ieri e di domani, come protagonista. Sono temi di cui è divertentissimo andare a rivedere – comodamente su Youtube – le predizioni dei ricercatori e dei creativi del tempo. Cosa era geniale e cosa una scommessa, cosa si è avverato e cosa no. “Magic Highway USA” è un film che celebra la costruzione delle strade (di terra, di pietra, di ferro e d’asfalto), dai pilgrim fathers, all’America pantagruelica degli anni ’50. Tutto inneggia all’automobile: lo speaker declama “Siamo una nazione su ruote! Fate girare una ruota e attraverserete il Paese!”, mentre sullo schermo si ramifica la rete delle freeways in costruzione, un’opera che mutò in un decennio la vita della gente. Disney compare presentato come il tipico automobilista americano “Tenere tutto in movimento è un vecchio motto” sorride il papà di Topolino, che subito rimarca come la libertà di viaggiare, inaugurata dalle carovane dei pionieri, sia un piacere tutto americano e che non deve essere dato per scontato.
Utopie retrofuturistiche. Sono gli anni della Guerra Fredda, sia che si parli di atomo, di satelliti o di auto, in un programma per ragazzi o al telegiornale, un dito è sempre puntato verso la Cortina di ferro. La “dea strada”, che da est a ovest, dagli anni ’30 ai ’60 ha messo in comunicazione l’America, è narrata in ogni dettaglio: dai rilievi aerei del territorio agli incontri tra ingegneri e residenti, dai mediatori che trattano l’esproprio delle fattorie, ai ciclopici cantieri, tutte le fasi della corsa alla motorizzazione sono glorificate da Disney. In modo un po’ acritico, bisogna ammettere. I problemi dello “sprawl” – il consumo del territorio – e del trasporto pubblico non sembrano sul tavolo. Mentre le immense periferie e i settanta milioni di automobili in circolazione sono l’unica opzione. L’autostrada del futuro, raccontata a cartoni animati, contiene qualche verità e molto humor. L’auto autonoma sembra a portata di mano, come l’elisoccorso, le telecamere retrovisori e la proiezione sul parabrezza. Si auspica che la pubblicità sparisca a vantaggio del paesaggio. Ma si immaginano anche carreggiate appese al Gran Canyon, o all’ombra dei templi greci (a Segesta noi italiani ci siamo riusciti). Meno serie, ma non meno godibili, le corsie separate per “lui” e per “lei”, una boutade che oggi farebbe alzare qualche sopracciglio. E ancora il box che lava e asciuga la macchina da solo, ponti e tunnel che si autocostruiscono. Tutto questo era il mondo di Walt Disney, sorprendete e poetico anche quando trattava di argomenti seri.