Scegliere i 10 modelli più importanti nella storia dell’auto sarebbe stata un’impresa abbastanza ardua, per questo abbiamo spostato il focus su un altro elemento fondamentale quando si parla di collezionismo e auto “ricreative” come le storiche: il piacere di guida. Un concetto che esula dalla performance assoluta o dall’handling più incisivo ma si riallaccia a quelle sensazioni fatte di, gesti, suoni e odori tipici del motorismo d’antan.
Ci sono esperienze che vanno fatte, almeno una volta nella vita. Nel caso delle auto, l’esperienza maestra è la guida. Abbiamo pensato a quali potrebbero essere i modelli che non dovrebbero mancare nel patrimonio di conoscenza pratico di un appassionato. E combinando generi, epoche e sensazioni che abbiamo provato noi quando ci è capitato di guidarle, abbiamo composto questa lista di dieci vetture che non è una classifica, ma è semplicemente ordinata in ordine alfabetico.
1 – Alfa Romeo Giulia. Ci riferiamo ovviamente a quella classica, costruita dal 1962 al 1977. Per la semplice ragione che, meglio di ogni considerazione (e luogo comune) su quanto quelle con il biscione siano state automobili straordinarie, farsi un giro su una Giulia rende davvero l’idea che il mondo si divide in due: le automobili e le Alfa Romeo. E non c’è bisogno di salire a bordo di una “esagerata” TI Super (la famosa Quadrifoglio del 1963): basta una comunissima 1300 per capire che una berlina da famiglia con una cilindrata umana sa regalare piacere per l’erogazione pastosa, la coppia generosa, l’allungo bello disteso, il cambio perfetto e la precisione negli inserimenti. Fidatevi: dopo aver guidato una Giulia, chi non è nato alfista si chiede come mai.
2 – Austin Mini. Se avete la fortuna sfacciata di imbattervi in una Cooper, potete anche darci dentro (e sarà uno spasso). Ma mettiamo che vi capiti tra le mani una semplice 850, o una 1000, magari in esecuzione Innocenti. Non vi racconteremo che sia un’esperienza di quelle da mille e una notte, in termini di piacere di guida comunemente inteso. Però capirete due cose: intanto, resterete senza parole vedendo quanto è grande, dentro, una macchinetta lunga solo otto centimetri più di una 500. Poi sentirete, con la collaborazione delle ruotine da appena 10 pollici, la strada a pochi centimetri dalle vostre gambe. E se non lo avete mai guidato prima, capirete che effetto fa pilotare un kart. Giusto non lamentatevi se, dopo, la vostra schiena non sarà ugualmente contenta.
3 – Citroën DS. Sembrerà un sogno. Una berlina che quando metti in moto attiva la pompa dell’impianto idraulico e che, da acquattata a terra che era, pian piano inizia a sollevarsi arrivando all’assetto di marcia. I sedili sono tenerissime poltrone e i comandi — tutti — sembrano fatti apposta per mettere in discussione l’idea che si ha sempre avuta dell’automobile: la frizione non c’è (non su tutte, perlomeno) perché è automatica, la leva del cambio spunta da dietro il volante (non alla sua destra, sarebbe troppo facile), al posto del pedale del freno c’è un pulsantone di gomma, la strada la vedete solo se superate il metro e 80 e le manovre vengono bene a patto che qualcuno vi dia indicazioni da fuori. Se avrete superato tutte queste prove, siete adatti a venire trasportati in un autentico hovercraft che, ancora oggi, isola alla perfezione dal mondo esterno proiettandovi in un’altra dimensione.
4 – Ferrari F40. Guidare una Ferrari è il sogno palese (perché mai definirlo proibito?) di qualunque appassionato di automobili. Se ci fosse modo non solo di coronarlo, ma di essere così fortunati da poter addirittura scegliere il modello, meglio puntare su una F40. Suggestiva anche perché fu l’ultimo modello presentato con Enzo Ferrari ancora in vita. Ma restiamo sulla macchina: motore relativamente piccolo (8 cilindri e meno di 3 litri), due turbo (merce rarissima, su un’auto di Maranello), quasi 500 cavalli, due ruote motrici. Un’auto essenziale, cruda, bestiale nel suo essere efficace, sicuramente non alla portata di tutti visto che va domata e non ci sono aiuti elettronici di sorta. Sono esistite Ferrari più belle ed eleganti, su questo non c’è dubbio. Ma la grinta sincera e non sovrastrutturata che ha saputo esprimere lei, non l’ha mai più avuta nessuna.
5 – Fiat 500. È la più popolare tra le classiche di casa nostra, è stata in tutte le famiglie, è una palestra ideale per imparare (o ripassare) quella cosa strana e oggi così poco naturale chiamata doppietta, indispensabile perché il cambio non ha i sincronizzatori. I cavalli sono pochissimi e vanno cercati di coppia tirando le marce, il che acuirà il ronzio rozzo e simpatico del bicilindrico, che vibrando con un’energia inesauribile diventerà una colonna sonora migliore di qualsiasi playlist possa contenere il vostro smartphone (che tanto non lo colleghereste). E poi c’è il tettuccio, da aprire anche se non ci sono trenta gradi all’ombra, ché guidarla aperta fa tutto un altro effetto. Fate anche solo dieci chilometri a bordo di un cinquino e capirete che less is more, e che basta davvero poco per divertirsi. A meno che non guidiate una L (che ha anche il lusso dell’indicatore), occhio alla spia della riserva: è l’unico indizio che la benzina è poca, e potrebbe mancare un nonnulla dal finire l’ultima goccia rimasta nel serbatoio.
6 – Ford Model T. Avrete sicuramente visto un film di Stanlio e Ollio. E avrete notato che la Ford T che ogni tanto guidano avanza e indietreggia di pochi metri con una certa frequenza. Non è un artificio scenografico: è giusto un modo di impiegare cinematograficamente una delle sue caratteristiche. Non cercate la leva cambio: non la trovereste. Strano, perché i pedali, loro almeno, sono tre. E qui viene il bello. A sinistra c’è la frizione (in apparenza confortante), al centro la retromarcia, a destra il freno (!). Per passare da prima a seconda — le marce sono due in tutto — si preme la frizione, che attiva automaticamente la commutazione tra i due rapporti. L’acceleratore è sul volante. Per fare il “bilancino” alla Stanlio e Ollio basta dunque giocare con i pedali di sinistra e centrale. A questo punto, sapere cha la “T” è stata la prima auto costruita con una catena di montaggio e che ne hanno fatte più di 15 milioni tra il 1908 e il 1927 è persino banale.
7 – Porsche 911. La pista è il massimo e l’autostrada può essere piacevole, ma nessuna delle due è strettamente necessaria. La cosa migliore che si può fare per innamorarsi di una “noveundici” è andarci a fare la spesa, caricare due fardelli di acqua minerale nel cofano anteriore, poi prenderla per andare a pagare un bollettino in posta. Siamo impazziti? No: la cosa più straordinaria della Porsche per eccellenza è la sua versatilità quotidiana, che la rende infinitamente migliore di qualunque altra sportiva, perché con un’altra granturismo vi serve un tender per le commissioni, mentre con la 911 potete fare tutto assieme a lei. Compreso, ovviamente, far urlare il suo sei cilindri boxer appena il traffico lo consente. Su quale delle infinite versioni prodotte sia meglio non ci pronunciamo, ma aderiamo volentieri all’idea che un modello raffreddato ad aria (quindi precedente la 996 del 1997) — uno qualunque — abbia più charme delle ultime serie.
8 – Renault 4. Le sensazioni che si possono provare a bordo di una “Quatrelle” sono comprensibilmente l’opposto di quelle che affiorano al volante di una sportiva. Le marce bisogna individuarle lavorando su quella leva a ombrello tanto insolita e, insospettabilmente, tanto pratica. Difficile trovare, su un’auto con quattro quarti di nobiltà, lo stesso livello di confort che si riscontra su una R4. E sarà divertente constatare che barcolla (che ha un rollio pazzesco, cioè) e che però non molla, perché è ancorata alla strada come se viaggiasse sui binari. Vi divertirete anche a cambiare direzione: le frecce, infatti, non sono a sinistra (la leva su quel lato aziona solo il devioluci) ma a destra. Deliziose complicazioni figlie di un’epoca in cui le auto non erano affatto tutte uguali.
9 – Range Rover. Quello che affascina, in quest’auto ancora bellissima oltre mezzo secolo dopo il debutto, è l’armonia dei contrasti: una carrozzeria altissima, una visibilità totale perché i finestrini sono le vetrate di una cattedrale, un interno curato — per quelli che sino ad allora erano gli standard delle fuoristrada rustiche — e una guidabilità che va presa con una certa cautela perché i pro e i contro sono in equilibrio precario. Il grosso V8 di ascendenze americane (è un adattamento Rover di un progetto Buick) gorgoglia che è un piacere, e inviterebbe di suo a darci dentro. Ma occhio che questa non è una Suv: malgrado le apparenze rifinite, rimane un 4×4 duro e puro, capace di arrampicarsi chissà dove (angolo d’uscita permettendo) ma è non pensato per affrontare la strada a cuor leggero. Tradotto: ha gli assali rigidi, compreso quello davanti, dunque la precisione negli inserimenti, è del tutto aleatoria. E va guidata con una certa attenzione. Così non fosse, sarebbe solo una noiosa, moderna automobile senza airbag né ESP né ABS.
10 – Volkswagen Transporter. Che sia T1,T2 o T3 non fa una differenza abissale. Certo, uno Split (cioè il T1 con il parabrezza sdoppiato) ha più fascino ma la sostanza, quella, non cambia. Va guidato intanto per imparare a sterzare in modo diverso: siccome ci siete seduti sopra, le ruote sono dietro il volante, e non davanti. Quindi se non ritardate, affettate i muri. Poi perché è il veicolo simbolo di una generazione, un vero flower power con le ruote e il motore (il boxer del Maggiolino, che vale da solo il prezzo del biglietto). E, se superate la sottile inquietudine che deriva dal constare che le vostre gambe sono separate dalla strada da qualche millimetro di lamiera, vi ritroverete in un abitacolo perfetto: a differenza dei cabina avanzata a motore anteriore, in cui si fa a metà dello spazio con il medesimo, qui la sala macchine è laggiù in fondo, il che significa meno rumore e niente calorie supplementari d’estate.