Silvio, il cognome lo conoscono gli amici, da bambino aveva un debole per la Lancia Flaminia. Il padre però la giudicava troppo impegnativa. Raggiunto, anni dopo, un certo benessere in famiglia, la ritenne superata e l’acquisto sfumò nuovamente. In quel momento il figlio giurò a se stesso che avrebbe fatto sua ogni Flaminia che avesse incontrato da adulto.
“Ho anche altre auto, non sono nato col paraocchi. Però Flaminia è la compagna della mia vita”. Questo è il pensiero di Silvio, proprietario delle auto che vedete. Guardandoci attorno nel suo capannone, in effetti, vediamo anche un’Alfa Romeo 2000 (quella, rara, degli anni 50) e una 2600 Spider Touring. Ciò che rende unico il luogo, però, è la quantità di Lancia Flaminia nelle più disparate condizioni, da quelle allo stato di relitto ormai irrecuperabile a quelle in forma smagliante. Tutte rigorosamente in versione berlina o coupé Pininfarina, le predilette dal nostro collezionista.
Amori precoci. Silvio appartiene alla generazione che aveva l’automobile fra gli obiettivi principali e i sogni dell’adolescenza. I ragazzi degli anni 60, vivendo gli anni del boom economico, erano soliti pensare che, una volta cresciuti, avrebbero potuto permettersi auto sportive o di lusso. Inoltre l’automobile e la moto erano la massima espressione di libertà e indipendenza personale del tempo. Silvio non sfuggì alla regola e ben presto si appassionò al mondo dei motori. Nel 1963, per sostituire la Giulietta TI di famiglia, aveva suggerito la Flaminia Coupé, ma suo padre la ritenne troppo impegnativa e acquistò una Lancia Flavia, modello che per l’epoca era da considerare di classe superiore alla media, ma che non brillava certo, almeno nella versione berlina, per le prestazioni: il boxer quattro cilindri 1500 (ma in una certa misura anche il 1800) faceva quel che poteva, dovendo fare i conti con il peso consistente della vettura. A Silvio la Flavia non piaceva, ma con lei imparò ad apprezzare la raffinatezza e l’eleganza proprie del marchio torinese. Però avrebbe voluto di più. Il di più, nella gamma Lancia, era appunto l’ammiraglia Flaminia, dotata del V6 ereditato dall’Aurelia, disponibile nelle versioni 2500 e, dal 1963, 2800. Per quegli anni si trattava di una cilindrata esagerata, da vera supercar. Ciò, unito al prezzo pari, sempre nel 1963, a quello di sette Fiat 500 nel caso della Flaminia berlina e di quasi otto Fiat 500 nel caso della Flaminia Coupé Pininfarina, ne faceva un modello destinato a pochi privilegiati. Tanto che il padre, pur pressato da Silvio, non se l’era sentita di comperarla, ripiegando, appunto, sulla Flavia.
La seconda chance. Giunto il momento di sostituire la Flavia, alcuni anni dopo, il padre propose all’approvazione della famiglia di comperare una Mercedes. A Silvio non sembrò vero: se papà pensava a una Mercedes, allora finalmente potevano permettersi una vera top car; quindi, secondo lui, la sospirata Flaminia. La propose fiducioso al posto della berlinona tedesca, ma il padre fu irremovibile: “Ormai è una macchina superata, è nata nel 1957!”. La risposta non faceva una grinza a fine anni 60, ma la delusione fu enorme. Durante le vacanze estive, nel garage dell’hotel, il parcheggiatore vide Silvio in contemplazione davanti a una Flaminia berlina, posteggiata di fianco alla loro Mercedes: “Guarda che è più bella la vostra”, gli fece. E Silvio “Sarà, ma a me piace questa!”. Maturò così la promessa che il ragazzo fece a se stesso: una volta adulto avrebbe “adottato” Flaminia, nella versione berlina o coupé (quelle che gli piacevano tanto) e a prescindere dalle condizioni; a lui andavano bene tanto le auto in ottimo stato quanto i relitti. Una sorta di rivincita verso l’impotenza di fronte alla decisione paterna. Poi, una Flaminia tira l’altra e così, raccogli oggi e raccogli domani, Silvio si è trovato con un capannone, quello che vedete nelle foto, stipato di ammiraglie Lancia. Anzi, per la verità non sono neppure tutte qui, perché qualcuna è dal carrozziere o dal meccanico.
Per tutti i gusti. Passato il primo momento di stupore, perché non ci era mai capitato di vedere così tante Flaminia insieme, cerchiamo di fare un inventario insieme a Silvio; l’operazione si rivela alla fine piuttosto semplice, perché lui conosce ogni dettaglio di ciascun esemplare. E di ognuna ci spiega perché l’ha acquistata: “Questa è una delle poche berline con l’interno in pelle, che era molto diffuso invece sulle coupé. Quest’altra invece, prima di passare a me, era uniproprietario, non potevo lasciarmela scappare. Questa coupé è verniciata in un rosso scuro che apparteneva alla gamma dell’Aurelia B20; probabilmente è l’unica ed è proprio il suo colore originale, a riprova del fatto che la produzione fosse pressoché artigianale e fosse possibile ottenere delle specifiche extra. Era imperdibile”. Sì, ma gli altri esemplari, chiediamo? “Beh, la berlina avorio e nera del 1957 ha una livrea elegantissima, non vedete quanto è bella? Quelle bicolore erano quasi tutte argento e nere, molto più banali. E la coupé 2800 del 1964 che è parcheggiata accanto ha il tetto apribile, un accessorio molto raro. Una vera tentazione”. Già, e i relitti? “Alcune non sono davvero relitti, sono comunque restaurabili perché abbastanza complete o comunque fondamentalmente sane. Mi sono assicurato il passatempo per gli anni della pensione”. Ok, nulla da eccepire, però quella coupé che forse un tempo era grigia ed è divorata dalla ruggine non ci pare francamente recuperabile… “No, sarebbe una follia tentare di rimetterla a nuovo. È una 2500 monocarburatore del 1961 che è rimasta trent’anni in un prato: la parte bassa della scocca praticamente non c’è più. Però si può recuperare qualche pezzo come ricambio, e poi mica potevo lasciarla là tutta sola, sta meglio qui con le altre…”. Confidiamo a Silvio che sappiamo dove giace, nella campagna biellese, un’altra Flaminia Coupé; in condizioni decisamente migliori, almeno fino alla nostra ultima visita, peraltro ormai piuttosto lontana nel tempo. Il volto gli si illumina come quello di un bambino davanti ai regali di Natale. Incorreggibile Silvio!