Il successo arriva solo con la terza serie, dopo una prima così così e una seconda in recupero. Dell'”Alfasud” protagonista su Ruoteclassice di marzo di un dossier di 26 pagine, si comincia a parlare esattamente quarant’anni fa. Il suo progetto è una sorta di sfida a cui l’Alfa Romeo decide di partecipare nonostante il fatto che sia decisamente fuori dai canoni tecnici del marchio, da sempre legato al suo motore quattro cilindri in linea bialbero con trazione posteriore. E invece, secondo i progettisti di casa Alfa, l'”Alfasud” dovrà avere la trazione anteriore e un motore boxer tra i 1200 e 1500 cm3 di cilindrata, e si andrà a collocare tra le utilitarie di categoria superiore (l’attuale segmento C).
È attorno ai 1000 cm3 di cilindrata che si gioca una grossa fetta del mercato dell’automobile a cavallo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70, e l’Alfa vuole essere presente con un prodotto innovativo dalla linea sportiveggiante, da produrre addirittura in uno stabilimento tutto nuovo nel Mezzogiorno (a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli). Ma gli inizi sono stentati: la qualità non all’altezza e il nome poco felice penalizzano non poco la nuova berlina. A dispetto della grande cura nella progettazione e nella sperimentazione, l’impressione è che la vettura sia realizzata in economia e con controlli di qualità inadeguati. Con il tempo e le numerose migliorie che vengono apportate nelle serie successive, l'”Alfasud” comincia piano piano a guadagnare consensi, fino a presentarsi all’inizio degli anni 80 come una vettura di sostanza, performante e ben rifinita. Ma i numeri della sua produzione rimarranno sempre al di sotto delle aspettative e soprattutto delle potenzialità della grande fabbrica di Somigliano.
Nel dossier di Ruoteclassiche sono presentate in chiave storica e tecnica tutte le serie prodotte; in più, a distanza di quarant’anni, viene sottoposta a un’impressione di guida una “Super 1200” del 1979.