Vent’anni fa la Rover lanciava sul mercato la 75. Un’auto bella, elegante, tecnologica e costruita con cura che aveva tutte le carte in regola per risollevare le sorti del marchio di Birmingham. E invece…
Birmingham, National Exhibition Centre, 20 ottobre 1998. Allo stand della Rover è attesa la presentazione della 75. Più che trepidazione, tra il pubblico, i giornalisti e i fotografi c’è una certa curiosità: sull’auto, che s’appresta a raccogliere il testimone della 600 (modello prodotto a partire dal 1993 e sviluppato sulla base della coeva Honda Accord), ci si aspetta di poter toccare con mano il salto di qualità promesso dopo l’acquisizione del marchio da parte della BMW.
La volta buona? Appena viene svelata, il verdetto è unanime: la Rover è riuscita di nuovo a fare una bella macchina. La Casa di Birmingham ha da tempo abituato il pubblico e la stampa specializzata ad auto potenzialmente eccezionali che poi – per un motivo o per un altro – risultano dei flop, eppure questa volta è diverso: tutti hanno la certezza di trovarsi davanti a un’auto dal futuro radioso.
Meglio di una Jaguar. Le ragioni per crederlo, a ben guardare, ci sono tutte: la Rover 75 è così bella da mettere in ombra persino la blasonatissima Jaguar S-Type, presentata praticamente in contemporanea a pochi metri di distanza. I giornalisti sono tutti concordi nel constatare come l’esercizio di rétro design sia riuscito meglio sui tavoli da disegno di Birmingham che su quelli di Coventry. La S-Type è leziosa, esageratamente ispirata com’è all’antenata degli anni 60, e all’interno i materiali non sono all’altezza della tradizione. Di tutt’altra forma e sostanza, dentro e fuori, la nuova berlina Rover: il design è solido ma filante (con qualche reminescenza dei grandi classici e una proporzione pressoché perfetta tra i volumi) e l’abitacolo, elegante e raffinato, profuma di pelle e vero legno.
Il potere (sconvolgente) delle parole. A guastare la festa sono alcune affermazioni del capo del consiglio di amministrazione del Gruppo BMW, Bernd Pischetsrieder, che decide di distogliere l’attenzione dalla neonata 75 e incentrare la conferenza stampa sulla precaria situazione aziendale della Rover. Non è un segreto che la BMW, per ottenere un risparmio di 450 milioni di sterline in tre anni, ha in programma di tagliare migliaia di posti di lavoro e nemmeno che, senza il supporto del governo, la fabbrica di Longbridge – una delle più grandi del Regno Unito – rischierà seriamente di chiudere.
La BMW vuole sbarazzarsi della Rover? Quello che nelle intenzioni di Pischetsrieder voleva essere un esposto al governo britannico, a cui la BMW chiedeva un contributo di almeno 200 milioni per poter dare fiato alla ripresa della Rover (la società tedesca stava investendo centinaia di milioni nello stabilimento di Longbridge per i progetti della nuova Mini e della Rover R30), si trasforma in uno scivolone con l’effetto immediato di ledere ulteriormente l’immagine del marchio e, di riflesso, anche quella della sua nuova creatura. Più che un’ombra, è un’eclissi totale a offuscare la nascita della Rover 75. La mattina seguente, sulle colonne dei principali quotidiani inglesi, le parole di Pischetsrieder suonano come una minaccia e lasciano intendere che all’interno del Gruppo BMW si sta cementando una fazione intenzionata a liberarsi al più presto della Rover.
Un telaio da favola. Peccato, perché la Rover 75 sembrava tutto fuorché il prodotto di un’azienda in difficoltà. Per lo sviluppo del progetto era stato stanziato un budget importante, e il centro di sviluppo di Gaydon ammodernato e reso all’avanguardia. La scocca della nuova Rover, grazie al tunnel centrale integrato nel telaio, era estremamente rigida e assicurava una grande sicurezza in caso di impatto. Lo studio della piattaforma, che sull’assale posteriore beneficia anche del raffinato schema Z-Link della BMW Serie 3, porta alla realizzazione di un layout per trazione anteriore con prestazioni senza precedenti che, qualche anno più tardi, la stessa BMW riutilizzerà per la nuova Mini.
Una nobildonna decaduta troppo in fretta. I primi esemplari vengono assemblati a Cowley, ma dopo l’annuncio della vendita della Rover da parte di BMW, nella primavera del 2000, la produzione viene trasferita a Longbridge. In origine i volumi di vendita previsti, tenendo conto anche delle esportazioni, ammontano a 140.000 vetture all’anno; la stima scende però a 100.000 quando il modello, per problemi di qualità, viene immesso sul mercato con sei mesi di ritardo, nel giugno del 1999. Dopo appena un anno, le Rover 75 uscite dai cancelli di Cowley – un sito produttivo con una capacità di 140.000 auto all’anno – non raggiungono le 60.000 unità.
L’ultimo ballo. Il Consorzio Phoenix – la cordata di imprenditori guidata dall’ex capo della Rover John Towers che nel frattempo aveva rilevato dalla BMW la Rover e la MG – va in bancarotta nell’aprile del 2005. Quattro anni prima, già in tempo di crisi, fa il suo debutto la ZT, una Rover 75 marchiata MG ad alte prestazioni, spinta da un V8 aspirato di 4.6 litri da 260 CV, e con un look più aggressivo: più che un’ultima spiaggia, è un tributo a una berlina ancora bella, il cui fascino va oltre le mode e resiste immutato al tempo che passa.
Una seconda vita. La Rover 75, che a discapito di un progetto all’avanguardia in Europa è stata un clamoroso flop commerciale, ha avuto un’inaspettata (e sorprendentemente lunga) carriera in Cina, dove ha vissuto una seconda giovinezza prima con il nome di MG7 e poi con quello di Roewe 750. Quest’ultima è rimasta in vendita addirittura fino al 2016, ovvero 17 anni dopo la prima apparizione del modello sul mercato.